Grazia, levità, misura: anticipazioni sulla Biennale Mosaico 2023

A Palazzo Rasponi dalle Teste fino al 23 luglio la mostra, a cura di Paolo Trioschi, con le opere di Takako Hirai e Sergio Policicchio, pervase da un senso leggerezza

Takako Hirai Opere

Opere di Takako Hirai

Risuona una levità d’argento fra le stanze di Palazzo Rasponi ed è una sorpresa che da una all’altra contrasta e vince la pesante cappa estiva e sconfigge gli spazi vasti e altisonanti della grandeur nobiliare. La sensazione di leggerezza emana dalle opere di Takako Hirai e Sergio Policicchio, due artisti non ravennati e neanche nati in Italia, che condividono un destino stranamente comune: la vita e l’arte li hanno portati a Ravenna dove ormai da anni sono di casa o almeno qui hanno una parte di cuore e dimora.

Lei giapponese, lui argentino, sono nati a distanza di 10 anni l’una dall’altro arrivando a Ravenna quando avevano fra 25 e i 30 anni. E lo scopo del viaggio è diventato – o è stato fin dalla partenza – l’apprendimento della tecnica musiva che Takako adotta ma non in modo privilegiato: l’artista alterna infatti il mosaico al disegno, alla scultura, al microallestimento in un arco variegato di interventi. Sergio ha utilizzato in passato numerosi linguaggi – dalla performance alla fotografia, dal soundscaping all’installazione – per preferire in questi ultimi anni il rapporto fra disegno e tecnica a micromosaico che non esclude ritorni di fiamma quando l’azione artistica lo richieda. I due artisti, che operano frequentemente non solo in Italia, si conoscono e Paolo Trioschi, curatore della mostra, ha avuto gioco facile nella scelta di abbinamento: nonostante le differenze di poetica, materiali, esiti e preferenze stilistiche, le due visioni si abbracciano in modo armonico e unione di intenti. Grazia, levità, misura nell’approccio e dedizione sembrano le parole d’ordine con cui operano i due artisti in questo anticipo estivo della Biennale del Mosaico Contemporaneo del prossimo autunno.

Sergio Policicchio Opera

Un’opera di Sergio Policicchio

Takako Hirai appanna sapientemente nel lavoro definitivo il conflitto estenuante che precede e accompagna l’idea che vuole rendere. Nella leggerezza dell’esito finale dell’opera – dove ogni elemento appare al proprio posto – non c’è traccia di tensione e la lotta corpo a corpo con materiali e progetto rimane del tutto sottotraccia. Lo sguardo dell’artista è attento, si sofferma su margini e crepe, sulla vita minuta e invisibile che dilaga mediante interventi di colore in elementi naturali. Hirai indaga quella vitalità immensa della vita vegetativa e animale che pretende tempo e lentezza per essere colta. Ha un che di sciamanico questo lavoro fatto di orme, di foglie, steli, ricalchi e disegni talmente definiti da confondersi con fotografie o reperti tridimensionali. Piccole cornici estraggono atti di amore: Le cose che mi piacciono (2023) sono composte da radici, ramoscelli, una corteccia, un residuo di grassello di calce. Poco importa che gli oggetti vengano lasciati come come si trovano in natura oppure siano modificati con interventi minimali da parte dell’artista, magari con linfa di albicocca. Quello che si rileva è il profondo rapporto affettivo che sorge dal fedele legame col mondo naturale che la circonda. Un’altra traiettoria del lavoro conduce a uno spazio più mentale e sono “tracce di”, sono impronte, ricalchi di opere compiute e nascoste, oggetti trovati e riperduti: l’opera si sostanzia di ciò che resta del processo artistico e accetta con profonda pietas la perdita, l’assenza.

Il lavoro di Sergio Policicchio da tempo ci ha abituato a una forte concentrazione sul tempo e sul rapporto col mondo naturale. Basandosi su immagini fotografiche di persone e particolari naturali, l’artista ritaglia figure e momenti che estrae dalla continuità narrativa grazie a un disegno incisivo e delicato. Seleziona poi parziali interventi in micromosaico che impreziosiscono alcuni dettagli, rilevabili solo temporeggiando davanti al lavoro, spostandosi di lato per cogliere le interferenze della luce. I protagonisti sono figure in ascolto, gocce che cadono, cerchi sull’acqua, un sottile ramo fiorito: le immagini emergono come sospese in uno spazio silenzioso, abbagliante. In una serie recente, le sue figure maschili e femminili si inserivano in sospensione all’interno di folte foreste in attesa, in ascolto, in contrappunto calmo e simbiotico di gesti minimali. Quasi indenni alla disgregazione del tempo, queste immagini incarnano una bellezza ideale senza appartenere a una dimensione puramente estetica: l’intento è infatti la sottrazione alla perdita reale, quella di un tempo privo di profondità. L’artista invita gli spettatori a partecipare a una ricomposizione con le forze generatrici della natura, a sospendersi dal tempo come sommatoria di eventi, per percepire la bellezza della natura e dell’attimo. Il mosaico – che già nella sua consistenza frammentaria incarna scomposizione e ricomposizione del tempo costringendoci a una posizione di distanza – spinge a un atto di consapevolezza che stabilizza. E talvolta guarisce.

“Divenire mosaico” di Takako Hirai e Sergio Policicchio, fino al 23 luglio, Palazzo Rasponi dalle Teste, piazza Kennedy, Ravenna. Da martedì a domenica dalle 18 alle 21.30. Ingresso libero

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