L’incredidile, ma vera, storia della donna che corresse Manzoni

Incontro con la scrittrice Emanuela Fontana. Nel suo romanzo la vicenda di Emilia Luti a cui l’autore de I promessi sposi chiese aiuto per la “risciacquatura in Arno”

Emanuela Fontana Scrittrice

La scrittrice Emanuela Fontana

Un romanzo che è insieme storico, letterario, femminista e affonda nelle radici stesse della lingua italiana e del Belpaese. Difficile definire La correttrice (Mondadori) seconda prova di Emanuela Fontana, che è stata ospite al Caffè Letterario di Ravenna di un incontro organizzato dalla libreria Dante. Nel libro, come dice il sottotitolo, l’autrice ha raccontato chi fu “l’editor di Alessandro Manzoni”. Una giovane donna fiorentina che lavorava per Massimo D’Azeglio come bambinaia (e che il pittore aveva conosciuto nel Gabinetto Viesseux) e a cui Manzoni chiese aiuto per la nota “risciacquatura in Arno” de I promessi sposi.

Lei racconta una figura fondamentale per la storia stessa della lingua e della letteratura italiana sconosciuta pressoché a tutti. Eppure tutti a scuola studiamo la storia delle varie versioni del romanzo ma nessuna antologia cita Emilia Luti. La prima domanda è quindi d’obbligo: come ha scoperto questo personaggio per molti versi incredibile?
«L’ho scoperto nel manuale del professor Marazzini che mi sono trovata a studiare quando ho deciso di cambiare vita. Tre anni fa infatti sono tornata all’Università per sostenere l’esame di Storia della lingua italiana che dovevo integrare al mio piano di studi per poter insegnare, come avevo deciso di fare durante il covid. Da giornalista quale ero e sono, quando mi sono imbattuta in questo personaggio mi sono chiesta: ma perché non la conoscevo? E ho scoperto che in effetti nessuno, a parte pochissimi studiosi, la conoscevano. E così ho cominciato a studiarla e ho pensato che la sua storia meritasse di diventare un romanzo ed essere conosciuta»,

La sensazione è che in effetti lei abbia studiato tantissimo, rispettando peraltro la lezione sul romanzo storico che ci è stata tramandata da Manzoni stesso.
«Ho studiato tanto, facendo ricerche per un anno. E in effetti ogni evento pubblico di cui parlo, comprese per esempio le presenze di Liszt a Firenze e di Verdi a Milano, è realmente accaduto e documentato. Per quanto riguarda I promessi sposi mi sono basata sugli scambi di bigliettini tra Manzoni ed Emilia (ne sono rimasti una ventina ndr.) dove si vede come lui le chieda le parole e lei si consulti spesso con la madre, a Firenze, prima di rispondere. Da quegli scambi si evince il loro rapporto molto ironico e scherzoso, soprattutto da parte del Manzoni. Ho cercato di ispirarmi a quel tono per ricostruire i dialoghi tra loro, anche perché il loro lavoro è stato molto orale. Un’altra fonte sono state le correzioni autografe dello stesso Manzoni sull’edizione ventisettana, tolte quelle d’autore e quelle consigliate da due “consulenti risciacquatori”».

In questo romanzo riscopriamo anche personaggi come Massimo D’Azeglio, che per molti ormai è soprattutto un toponimo, e scopriamo un lato di fragilità, timidezza del Manzoni.
«Anche in questo caso, per ricostruire entrambi i personaggi, mi sono basata soprattutto sulle loro corrispondenze. Erano mol- to diversi ma legati da profonda stima e in certo senso venati da una malinconia simile, D’Azeglio era un uomo che piaceva alle donne, amava la vita pubblica e mi ha permesso anche di introdurre l’elemento più politico di quel periodo storico che porterà poi ai moti del ‘48. Manzoni soffriva, possiamo oggi immaginare, di veri e propri attacchi di panico, che all’epoca venivano descritti come “convulsioni”, ed era più timido e schivo. Ma di fatto ha compiuto forse l’operazione politica più profonda, cercando di dare una lingua unica al popolo italiano».

Fontana La CorrettriceNell’aiuto che lo scrittore chiede a Emilia Luti emerge anche un uomo per certi versi umile e pronto ad accettare l’aiuto di una “fiorentina” che era sì istruita, ma non di nobile nascita, per esempio.
«Emilia Luti ha avuto una biografia che è un romanzo in sé, orfana del padre cancelliere, era la maggiore di quattro sorelle cresciuta da una madre, figlia di un impresario teatrale, che aveva chiaramente molte risorse intellettuali. Una situazione un po’ da Piccole donne che però non ho inventato io, è quanto ho ricostruito attraverso ricerche all’anagrafe storica di Firenze, condotte con il prezioso aiuto dei miei genitori. Ma di certo nel libro volevo anche dare luce proprio ad Alessandro Manzoni che, ormai ultracinquantenne, fu pronto a farsi aiutare da una giovane bambinaia, in un’epoca in cui tutto questo non era affatto scontato. Questa storia dimostra che era un uomo libero, senza pregiudizi. Anche perché ha sempre fatto tutto alla luce del sole: Emilia visse per un intero anno a casa Manzoni e tutti sapevano del lavoro che stavano facendo insieme e che sicuramente ha accelerato e dato impulso all’edizione definitiva del romanzo».

Ma allora perché la figura di Emilia è rimasta così nell’ombra nella storia ufficiale del romanzo più importante per la lingua italiana.
«La colpa non si può imputare ad Alessandro Manzoni, che solo in un’occasione può essere accusato di omissione: in una lettera due anni prima della morte parla di una persona colta che l’ha aiutato nella nuova stesura del romanzo e anche se sta chiaramente parlando di Emilia Liuti, non ne cita il nome. Credo sia stata più tutta l’agiografia che poi è seguita intorno a Manzoni a cancellarla, del resto era una donna, non era una letterata, non era nobile…»

Raccontava che è da poco diventata insegnante, ai suoi allievi oggi insegna questa storia? Il suo libro è anche una dichiarazione d’amore per il romanzo stesso di Manzoni, chiamato nel gergo familiare I Fidanzati. Che senso ha oggi farlo studiare ancora in ogni scuola della Repubblica?
«De I promessi sposi bisogna capire la fatica e la dedizione dello scrittore, bisogna conoscere le sofferenze che ne hanno accompagnato la stesura definitiva, la ricerca di una speranza e poi la ricerca di una lingua per tutti. Bisogna studiare Manzoni in questo modo: fu il grande influencer della lingua italiana dell’Ottocento, un visionario e un regista prima della nascita del cinema, perché decise di illustrare l’edizione definitiva con oltre 400 vignette, e fu un uomo che superò i suoi limiti per portare a termine questo lavoro. Balbettava, non sempre riusciva a scrivere, era afflitto dai dubbi. Bisogna mostrare i suoi scarabocchi, come lui stesso li chiamava, ossia le sue correzioni che mi fanno sorridere e mi riempiono di stima e ammirazione, per far comprendere come dalle insicurezze si può costruire un capolavoro».

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