Demetrio Stratos, voce unica e vertiginosa che ha legato pop e avanguardia musicale

Un excursus sulla sua carriera, dagli Area a John Cage, in occasione della mostra a Palazzo Malagola, fino al 22 dicembre

Stratos 76

Foto di Roberto Masotti

Cinquant’anni dopo mi suscita ancora i brividi (e qualche lacrima) ascoltare l’incipit di Arbeit macht frei, dal primo album (1973) degli Area, il pezzo “Luglio, agosto, settembre (nero)” – anche perché rievoca una sconvolgente attualità. La struggente poesia declamata in arabo da una giovane donna che recita: «Lascia la rabbia / Lascia il dolore / … / Lascia le armi e vieni a vivere con la pace». E poi l’irrompere della potentissima e sinuosa voce di Demetrio Stratos a cantare «Giocare col mondo facendolo a pezzi / Bambini che il sole ha ridotto già a vecchi / Non è colpa mia se la tua realtà / Mi costringe a fare guerra all’omertà. / Forse così sapremo quello che vuol dire / Affogare nel sangue tutta l’umanità […]».

Un grido multiforme modulato su di un tappeto di sonorità elettroniche, tempi dispari, ritmi sincopati, echi di armonie mediterranee e balcaniche, improvvisazioni jazz, rumori della metropoli e del terzo mondo e comunque battiti rock. Mentre sul piano del messaggio emerge la consapevolezza dei conflitti mediorientali, la questione palestinese, la critica al neocapitalismo avido di profitti fra consumismo e sfruttamento dei lavoratori. La temperie mondiale a quell’epoca è gravida di tensioni, fra la fine delle dittature in Spagna, Grecia, Portogallo e la guerra del Vietnam; il golpe in Cile e Argentina, la guerra civile in Guatemala, e in Italia la strategia della tensione fra stragi “nere” e terrorismo “rosso”.

Per noi ancora adolescenti curiosi e desiderosi di futuro, che pure avevamo frequentato il prog rock e stavamo entrando nell’era del punk e della new wave, quella degli Area era musica inaudita, entusiasmante. A cui si univano indissolubilmente sogni di utopia sociale, impegno culturale e partecipazione politica. Cambiare il mondo a modo nostro.

Gli Area di Demetrio Stratos (con eccezionali musicisti come Patrizio Fariselli, Giulio Capiozzo, Ares Tavolazzi e Paolo Tofani) erano fra i catalizzatori di questi slanci verso la libertà (almeno di pensiero e creativa), con i loro dischi (da Caution Radiation Area, a Crac! fino a Maledetti) e i concerti dal vivo. Che erano spesso delle vere proprie azioni sceniche fra una versione free jazz dell’Internazionale (così avrebbe potuto suonarla l’Art Ensemble of Chicago) e la provocazione di Lobotomia, quando a luci spente il gruppo sparava lampi di torce elettriche in faccia agli spettatori e lanciava il cavo di un sintetizzatore fra presenti che più era toccato più le frequenze sonore salivano… In una esaltante, stocastica, elaborazione musicale partecipata dal pubblico. Si citava il dadaismo, il teatro dell’assurdo di Antonin Artaud e le performance multimediali della comunità artistica Fluxus.

Intorno alla metà degli anni ‘70 – visto che i collettivi autonomi contro “La musica dei padroni” e per l’ingresso gratis (o autoriduzione) ai concerti avevano “desertificato” la proposta di show di gruppi stranieri in Italia – gli Area (assieme ai “nuovi” cantautori e qualche jazz band radicale) dominarono la scena live nazionale con centinaia di concerti, fra raduni giovanili, feste politiche e sociali, teatri e club. In queste esibizioni, a Demetrio – frontman della band che il produttore Gianni Sassi aveva definito genialmente “International POPular group” – non mancavano ampi spazi di improvvisazione dove esprimere la sue ricerche vocali, dal “lallismo infantile” alle diplofonie, fino addirittura alle “quadrifonie” (cioè l’emissione contemporanea di più suoni con la voce).

Area Metà Anni 70

Gli Area salutano il pubblico a pugno chiuso in un concerto della metà degli anni ’70. Demetrio Stratos, che oltre a cantante era polisturmentista, è il primo a destra

Demetrio Stratos infatti, parallelamente al suo impegno professionale con gli Area, aveva deciso di approfondire in modo abissale, estremo, le potenzialità della voce, il suo strumento ancestrale. Ne sono testimonianza gli studi compiuti con l’istituto di fonologia dell’Università di Padova per sondare i limiti fisiologici della sua ugola e della sue prestazioni vocali, e poi le performance artistiche soliste raccolte nelle incisioni degli album Metrodora e Cantare la voce, sempre pubblicati dalla Cramps di Gianni Sassi. Ma Stratos era un artista veramente “rivoluzionario”, colto, febbrile, geniale e curioso, aperto alla sperimentazione, che nel fervido laboratorio culturale di Sassi, a Milano, aveva conosciuto e collaborato con artisti dell’area Fluxus come Walter Marchetti, Juan Hidalgo, Gianni-Emilio Simonetti… E soprattutto John Cage, maestro indiscusso della ricerca sonora contemporanea, sempre ai limiti dell’estetica e della filosofia musicale. Di Cage, Stratos aveva interpretato l’ardua Sixty-Two Mesostics Re Merce Cunningham, per voce non accompagnata e microfono, e con lui aveva partecipato allo straordinario progetto itinerante del “Treno di Cage”, fra Porretta Terme, Bologna, Ravenna e Rimini del 1978. A cui seguirono molti altri progetti, performance ed eventi. Un anno dopo, nel ‘79, in Usa, quando stava perfezionando un corso universitario di musica sperimentale all’Università di San Diego in California, proprio promosso da Cage, Demetrio soccombe a una fulminea e letale leucemia che se lo porta via a 34 anni, lasciando, oltre alla commozione per la sua scomparsa, un vasto orizzonte di prospettive, aperto e inesplorato, sul senso e il ruolo autonomo della vocalità nell’avanguardia musicale del nostro tempo, di caratura internazionale.

È passato molto tempo, ma a tutti questi sparsi appunti, memorie e suggestioni rende conto una pregevole mostra a Palazzo Malagola di Ravenna (via di Roma 118), centro di formazione e documentazione sulla voce artistica, che espone attualmente parte dell’archivo di Demetrio Stratos, recentemente acquisito come patrimonio dell’istituzione. La rassegna, a ingresso gratuito e aperta al pubblico fino al 22 dicembre (dal lunedì al sabato dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 18 e la domenica mattina), è un inedito percorso sulla parabola artistica e umana di questo straordinario musicista e intellettuale, fra spartiti, documenti, memorabilia, immagini video e tracce audio, che ci parla ancora oggi del valore e del rigore della sua indomita creatività e dell’eredità artistica in buona parte ancora da indagare e tramandare.

Da segnalare che, nell’ambito della mostra, sabato 16 dicembre, alle ore 20.30, nella sala Martini del Mar – Museo d’arte della città di Ravenna, è in programma la proiezione del film La voce Stratos (Italia, 2009, 110 minuti), regia di Monica Affatato, Luciano D’Onofrio.  Al termine della proiezione Marco Sciotto coordinerà il dialogo con gli autori.

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