Tra Dostoevskij e Bauman, “Notti” della compagnia SlowMachine: «Cos’è oggi l’amore?»

Lo spettacolo sarà in scena al Goldoni di Bagnacavallo e al Masini di Faenza. Parla il regista

Notti SlowMachine Ph.Elisa Calabrese 6

(ph. Elisa Calabrese)

Lunedì 22 gennaio (ore 21) al teatro Goldoni di Bagnacavallo (e martedì 23 al Masini di Faenza, ore 21) va in scena Notti, della compagnia bellunese SlowMachine (istituita nel 2012 da Elena Strada e Rajeev Badhan). Nello spettacolo gli attori, che interpretano i membri di un gruppo teatrale al lavoro su una nuova trasposizione delle Notti bianche di Dostoevskij, riflettono su cosa è ancora in grado di dire oggi quell’opera. La drammaturgia, curata dalla stessa Strada, innesta poi sul contributo letterario di Dostoevskij le suggestioni sociologiche e filosofiche del saggio Amore liquido di Zygmunt Bauman. Ne esce un lavoro dalla forte tensione visionaria, un dialogo tra teatro, video e video live, in cui due e più livelli visivi e temporali si intrecciano nella ricerca di un senso profondo nelle relazioni ai nostri tempi. Ne parliamo con il regista Rajeev Badhan.

Come siete arrivati a scegliere i due spunti fondamentali su cui è innervato Notti? 

«L’intento è stato quello di chiederci in che modo poteva parlare al presente un testo come Le notti bianche di Dostoevskij, che ha attraversato le epoche. Pensando alla società in cui viviamo in questo momento, ci siamo chiesti se il tipo di innamoramento descritto nel racconto fosse ancora possibile, se esistono punti d’incontro. E quindi ecco il parallelo tra racconto di Dostoevskij – nel quale l’innamoramento dei protagonisti ha fatto patire tanti lettori – e una riflessione sulla nostra modernità, ossia su cosa le tematiche dell’amore potessero suscitare nelle nuove generazioni. Questo ha fatto sì che si sviluppasse un lavoro che intreccia la modernità dell’oggi ai tempi del grande scrittore russo. Lo spettacolo procede su due piani: uno è la linea del racconto di Dostoevskij, che avviene per lo più con l’utilizzo di varie tecniche video, quindi del mezzo cinematografico; sull’altro piano ci sono invece un gruppo di tre attori che si interrogano sull’oggi e sulle loro relazioni, specchiandosi con il racconto di Dostoevskij. Qui si innestano le riflessioni del testo di Bauman Amore liquido e poi è nata anche l’idea di sentire le generazioni che chiamiamo in causa, e così, attraverso alcune interviste fatte a ragazzi dei licei di Belluno, si è utilizzato il mezzo documentario all’interno dello spettacolo. Insomma, un percorso che naviga su più livelli che suscita vari interrogativi: può la liquidità della nostra epoca, intesa come la fragilità di qualsiasi costruzione, influire anche sui sentimenti più forti e apparentemente solidi? Il concetto di amore ha un denominatore comune? Amore e libertà sono un binomio così incompatibile?»

Personalmente, ho interpretato lo spettacolo in questo modo: i personaggi di Dostoevskij, il narratore e Nasten’ka, alla fine si innamorano, ma Nasten’ka sceglie di stare con l’Inquilino più che altro per una sorta di convenzione sociale. Nel saggio di Bauman invece la perdita dell’amore è qualcosa di più impalpabile, che arriva contestualmente dalla società che viviamo e da noi stessi. Ed è per questo che i due testi lavorano così bene all’interno del vostro spettacolo. Ha senso?

«È una riflessione interessante. La negazione dell’amore, oggi, arriva in effetti da un’altra parte. Nell’indagine fatta per questo spettacolo, ci siamo accorti di come, nella società dell’immagine in cui viviamo, alle volte siamo proprio noi a negare l’amore. Se penso a Nasten’ka, al narratore e all’Inquilino è evidente che sono tutti innamorati, anche se magari sono amori diversi. L’amore cambia, l’amore a volte è abbandono, e credo che la negazione dell’amore al giorno d’oggi sia assolutamente una tematica su cui riflettere. Quindi sì, condivido il tuo punto di vista».

C’è un’altra cosa che ho notato in Notti che vorrei capire. In scena i tre attori (che interpretano proprio degli attori) stanno discutendo della messa in scena del testo di Dostoevskij, un po’ come succede in “I promessi sposi alla prova” di Testori. È un richiamo voluto? 

«Devo dire che non ci avevo mai pensato, anche se mi onora il fatto di essere accostato a un’idea come quella di Testori. Però sicuramente in Notti c’è la volontà di portare in scerna il teatro, una tematica che mi sembrava interessante, così come la modalità che gli attori stessi dichiarassero la loro posizione di attori, e come alcune cose che succedono sembrano quasi impossibili all’interno dello spettacolo ma poi pian piano si realizzano. La dinamica della meta-teatralità e dell’utilizzo del teatro all’interno di una compagnia che deve mettere in scena uno spettacolo – come può essere anche in Sei personaggi in cerca d’autore – è un percorso che attraversa la nostra drammaturgia e la riflessione registica. Non per niente, credo, abbiamo citato Testori e Pirandello, che hanno inciso in maniera molto netta nella cultura teatrale contemporanea»

Ho scoperto che, prima della laurea specialistica in Produzione e Progettazione delle Arti Visive allo IUAV di Venezia, ti eri laureato in Biotecnologie Mediche. Cosa ti ha portato da un percorso scientifico a uno artistico?

«Beh, durante gli studi avevo già iniziato a frequentare il Tpr-Cut (Teatro Popolare di Ricerca-Centro Universitario Teatrale) di Padova, ho conosciuto Denis Fasolo, Andrea Pennacchi, il fondatore del Tpr Lorenzo Rizzato, ho avuto una spinta molto forte per il teatro, la nuova drammaturgia, la sperimentazione. Diciamo che il percorso scientifico mi ha portato a decidere in maniera più convinta di intraprendere un percorso artistico e frequentare poi l’Accademia Teatrale Veneta, e specializzarmi anche al Centro Sperimentale di Cinematografia. Insomma, era già tutto dentro di me, doveva solo uscire».

SlowMachine esiste dal 2012, ma il 2024 avrebbe dovuto essere il decennale della stagione teatrale “Belluno Miraggi”, poi saltata. Cos’è successo?

«Probabilmente c’erano idee un po’ diverse con l’amministrazione comunale, ma speriamo che nel futuro si possa migliorare. Noi, come compagnia, a livello produttivo e organizzativo siamo molto attivi. Se la disponibilità per la realizzazione di progetti all’interno del territorio bellunese c’è, ben venga, se no vedremo. Miraggi è sempre stata apprezzata dalla cittadinanza, ma a volte chi decide è gente che professionalmente non ha niente a che fare con il nostro ambito. Rispetto al nostro territorio vedo problematiche un po’ di provincia, e questo non aiuta. L’Emilia-Romagna, ad esempio, è una costellazione in cui più anime convivono, da Ert a Accademia Perduta, dalle Albe alla Socìetas, la pluralità di espressione è solo una ricchezza. Speriamo di ritornare anche noi in attività in maniera più strutturata, anche se è ovvio che il sistema cultura ha dei problemi e delle necessità. In questo momento però ci fa piacere che un lavoro come Notti stia girando abbastanza, con un ottimo riscontro del pubblico, che è fondamentale».

Alessandro Fogli

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