Il debutto sul grande schermo della cervese Emma Benini: «Un’esperienza unica»

Parla la giovane attrice, appena passata in Rai con la miniserie sul fascismo, al Mariani per presentare “Le ragazze non piangono”. «Continuo a lavorare per inseguire il mio sogno»

Le ragazze non piangono è la storia di Ele e Mia, amiche per caso e compagne di viaggio in un on the road lungo l’Italia, a bordo di un vecchio camper. La pellicola, firmata dal regista emergente Andrea Zuliani, è stata presentata alla collaterale del Festival del Cinema di Roma “Alice nella Città” nell’ottobre del 2022 e vede come protagonista la 23enne cervese Emma Benini, accompagnata da Anastasia Doaga, nei ruoli delle due giovani avventuriere. Dopo il debutto a Roma, il film è stato presentato in festival e cinema di tutta Italia. Arriverà al Mariani di Ravenna questa sera (giovedì 1 febbraio) alle 21, con la presenza in sala di Benini e Zuliani.

Si tratta del primo ruolo da protagonista sul grande schermo per la giovane attrice cervese, dopo le esperienze a teatro accanto al padre Massimo, la formazione al Tam con il maestro Ivano Marescotti e i ruoli nel film Tutto Liscio del 2019, Sotto il sole di Riccione, girato per la piattaforma Netflix nello stesso anno e la serie tv Rai La fuggitiva (2021), dove Carlo Carlei le ha fatto vestire i panni di una giovane Vittoria Puccini. Dopo il debutto al Festival del cinema, Benini ha deciso di trasferirsi nella capitale, ottenendo un ingaggio nella miniserie Rai La Lunga Notte, appena andata in onda.

Com’è stato girare per la prima volta un ruolo da protagonista?
«Un test pazzesco, un’esperienza unica. Il film è stato girato con ritmi intensi, complici il budget ristretto e il poco tempo: in un mese e mezzo abbiamo terminato le riprese, ma senza fermarci mai. Giravamo in orari assurdi, senza giorni di sosta, in location “pazze” e meravigliose. Essendo un “on the road” poi, gli spostamenti sono stati reali, tra Basilicata, Lazio e Trentino. Quel periodo ha richiesto un grande sforzo fisico, quando sono tornata a casa ho dormito per una settimana, ma ero felice».

Come ha ottenuto questo ruolo?
«Ho lottato per vestire i panni di Ele. Mi sono innamorata del personaggio fin da subito: la sua storia è quella di una ragazza che perde il padre durante la prima adolescenza, e da quel momento rimane come bloccata. Il suo corpo cresce, ma la mente rimane quella di un’eterna bambina che deve imparare a fare i conti con il suo lutto e il suo dolore. Sentivo quel ruolo mio. Mi sono presentata ai provini a Roma accompagnata da mio padre, ancora minorenne. L’avvento della pandemia ha causato numerosi rinvii alle riprese, e mi sono trovata sul set a 21 anni, alla guida di un camper. Al mio fianco, Anastasia Doaga, che avevo conosciuto il giorno dei provini e con la quale era nata fin dal primo momento una sincera amicizia. Credo che questa fortunata coincidenza abbia regalato empatia e spontaneità sul set. Oggi è una delle mie più care amiche».

Quando ha capito che avrebbe fatto l’attrice?
«Da sempre, credo. Mi sono innamorata della recitazione da bambina, partecipando con mio padre agli spettacoli di Rumors, compagnia teatrale cervese che tra ironia, dialetto e risate raccoglie fondi per beneficenza. Ancora oggi partecipo ai questi spettacoli, nonostante abiti lontana, sono esperienze famigliari irrinunciabili per me. I miei genitori mi hanno sempre sostenuta in questo percorso, per quanto in salita, sia ai tempi della formazione all’accademia di Marescotti sia nelle mie scelte di trasferirmi per lavoro. Non mi immaginano fare nessun altro tipo di lavoro. Ancora però non mi considero un’attrice, ma un’aspirante tale. Credo un attore si riconosca per l’esperienza, o per determinate qualifiche. Fino a quel momento, continuerò a lavorare per realizzare il mio sogno».

Com’è stata l’esperienza con Marescotti?
«A Ivano voglio un bene infinito. Sono ancora all’inizio della mia carriera, ma tutto quello che ho fatto lo devo a lui. Mi ha dato i suoi contatti, la mia agente era anche la sua. Ma soprattutto, mi ha insegnato tantissimo. Più mi muovo in questo ambiente più riconosco la fortuna di avere avuto un maestro come lui. Un professionista, che non fonda scuole perché irrisolto o per trarne profitto, ma per la passione di crescere nuovi talenti. Ci volevamo un bene sincero. Dopo la formazione all’Accademia Teatro Marescotti ho frequentato qualche corso sporadico di recitazione a Roma. Anagraficamente sarei ancora in tempo per frequentare una scuola di recitazione nazionale, ma non sono sicura di volerlo fare. Non so cosa troverei dall’altra parte».

L’ultima apparizione sugli schermi è stata per la serie La lunga notte, che tipo di esperienza è stata?
«Ho amato questa serie. È in costume, e mi sono innamorata delle ambientazioni, dei vestiti e delle acconciature. Ho avuto un ruolo molto importante che mi ha dato modo di lavorare al fianco di grandi professionisti come Alessio Boni o Lucrezia Guidone, è stato un onore per me. La serie parla della caduta del fascismo, ma ovviamente non è stata pensata per glorificare quel periodo storico, al contrario, nasce per far conoscere e pensare».

Cosa consiglieresti a un giovane ravennate che vuole seguire il tuo stesso percorso?
«Innanzitutto gli direi che è un lavoro senza certezze e che richiede dedizione e capacità di restare con i piedi per terra. Esce un tuo film e ti senti al top, poi realizzi che non sai per quanto tempo resterai senza lavorare. È un mondo “figo”, ma difficile. Il mio consiglio però è quello di andare a Roma appena possibile. Formarsi in scuole di alto livello e seguire i consigli di buoni insegnanti. L’estetica gioca un ruolo fondamentale nella professione dell’attore, ma mai quanto la tecnica».

Crede che la Romagna non abbia molto da offrire in ambito cinematografico?
«Al contrario, sempre più produzioni stanno strizzando l’occhio al nostro territorio, e fanno bene! I paesaggi romagnoli si prestano molto a livello cinematografico, e sarebbe bello trasmettere la bellezza della nostra regione anche alle persone che non ci abitano e non l’hanno mai vista. Ora è uscito 50 km all’ora, un film scritto dal romagnolissimo De Luigi e ambientato in Romagna, e non potrei esserne più felice. Credo sia importante scoprire altre territorialità italiane fuori dalle più inflazionate Roma, Napoli e Milano. La Romagna poi, è la terra di Fellini. Guardi un film vincitore agli Oscar come Amarcord e senti: “ah dì, ma valà, ciò”. Quelli siamo noi! È la Romagna, e credo sia importante trasmetterla attraverso il cinema, anche per darle un valore universale. Purtroppo però, credo ci vorrà ancora un po’ di tempo».

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