Da Esopo a Calvino, il fascino di fiabe e favole rimane intatto

Alla Classense un sorprendente percorso espositivo corredato da illustrazioni e incisioni di grande raffinatezza

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“The Arthur Rackham Fairy Book”, London, George G. Harrap, 1933

Ancora affascinanti, ancora ricche di successo. Dopo secoli, addirittura dopo millenni non hanno perduto niente dello smalto originale ma semplicemente si sono modificate adattandosi con leggerezza al momento storico, alle richieste del tempo, al pubblico che a seconda dell’epoca poteva essere fatto di adulti o bambini. Parliamo delle fiabe e delle favole, clamorosamente inossidabili, se pensate che Biancaneve ha più di 150 anni e che la prima Cenerentola – che si chiamava Rodopi ed era una schiava egiziana – è apparsa per la prima volta 2.600 anni fa. Calcolando le differenze, ecco, rispetto alle origini – talvolta perse nelle nebbie di tradizioni orali, di storie che dall’Oriente e dall’India passano all’Occidente venendo rilette e modificate – le favole sono state messe oggi sotto stretta sorveglianza pedagogica. E questo è un bene se possiamo evitare ai più piccoli la violenza di quelle antiche – dallo stupro della bella addormentata nel bosco ai piedi automutilati delle sorelle di Cenerentola, alla morte (definitiva) di Cappuccetto Rosso nella pancia del lupo – che rispecchiavano un mondo esposto alla legge del più forte rispetto a un mondo ricco di spunti da cronaca nera.

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Hans Christian Andersen, “Fiabe”, Milano, Terre di mezzo, 2021 – illustrazione di Quentin Greban (1977) per la fiaba “La Sirenetta”

Ma non è la dimensione splatter delle antiche fiabe a fare da cornice alla bella mostra realizzata in Classense, C’era una volta… Favole e fiabe dalle raccolte classensi, che analizza la storia di favole e fiabe in Europa attraverso i libri del patrimonio comunale dai più antichi del ‘400 fino a edizioni recentissime e meravigliosamente illustrate. Per cui c’è spazio di gradimento per i più esigenti bibliofili, per chi si occupa di illustrazioni e grafica o chi si interessa di pedagogia, per chi – piccoli e grandi – si abbandona al piacere della fantasia. Intanto impariamo dai ricchi apparati in mostra, curata da Daniela Poggiali, che c’è differenza tra favole e fiabe: le prime sono più antiche, abbastanza brevi e spesso caratterizzate da protagonisti animali che hanno lo scopo di edificare moralmente. Le fiabe nascono più tardi, presentano un andamento narrativo più complesso e lungo, spesso sostanziato da avvenimenti e personaggi magici.

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Hans Christian Andersen, “Fiabe”, Milano, Terre di mezzo, 2021 – Illustrazione di Quentin Greban (1977)

Si inizia da Esopo, l’antesignano della creazione di favole brevi ed edificanti – come la volpe e l’uva – ascoltate almeno una volta nella vita di tutti. La tradizione vuole che fosse intelligentissimo ma quasi deforme – testa enorme, calva, corpo striminzito – forse schiavo o servo nella Grecia del VII-VI secolo prima di Cristo, quando ancora non esisteva il Partenone.
Le sue favole ebbero un enorme successo in epoca umanistica come testimonia la frequenza di pubblicazioni fra Quattro e Cinquecento, a cominciare dalla prima volgarizzazione pubblicata nel 1479 in mostra, corredata da raffinate incisioni al tratto. La cura dei testi e delle immagini è talmente forte nel Rinascimento da ispirare anche l’editoria moderna come nel caso del facsimile (1963) dell’incunabolo del 1485 dove le illustrazioni sono una gioia per gli occhi. Esopo deforme – brutto come dovevano essere per cliché i servi o gli appartenenti a un’etnia diversa – ci viene invece presentato in un’immagine di un’edizione veneziana del 1581. Il successo interstellare sarà confermato dalle reiterate edizioni delle sue intramontabili narrazioni, illustrate da artisti famosi come Walter Crane, che nel 1887, al sorgere del movimento delle Arts and Crafts e della successiva Art Nouveau, costituisce uno dei perni della illustrazione, grafica e pubblicità nel mondo anglosassone. Più recentemente, le favole di Esopo saranno illustrate magnificamente dagli statunitensi Alice Twitchell e Martin Provensen che firmano una bella edizione di Mondadori (1971), da Attilio Cassinelli e Pirro Cuniberti, fantastici traduttori rispettivamente degli Animali nelle favole (1987) e delle recenti Favole del lupo e della volpe (2011).

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Fabian Negrin, “In bocca al lupo”, Roma, Orecchio acerbo, 2003

La mostra spiega anche l’esistenza di un ramo millenario delle favole risalente all’India del IV-VI secolo: la raccolta intitolata Pañcatantra – che nasce più o meno nel periodo in cui Ravenna è capitale dell’impero d’Occidente – si diffonderà come è facile intuire in un mondo al lume di lucerna privo di Tv e internet. Le favole indiane verranno riprese dal noto umanista Anton Francesco Doni nel 1552, ripubblicate più volte fino all’edizione seicentina di Bertoni che ci fornisce un’immagine nutrita dalle fantasie bizzarre e un po’ spaventose di Jeronymus Bosch, un artista in preciso dialogo con l’aura fantastica delle favole. Le prime fiabe – di cui l’antesignana nel mondo antico è la vicenda di Amore e Psiche – a essere pubblicate in Europa sono quelle italiane di Giovanni Francesco Straparola – un autore ancora misterioso – e il più celebre Giambattista Basile, il cui cupo Cunto de li cunti fu amato dai fratelli Grimm e più recentemente è stato celebrato dal un bel film di Matteo Garrone.

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Elizabeth Tyler Wolcott, “Jack e il fagiolo magico”, New York, National Child Welfare Association, 1918

Attraverso l’umanista Gabriele Faerno e le numerose edizioni delle sue Cento novelle – di cui in mostra si vede la bella edizione del 1577 illustrata da un allievo di Tiziano – il patrimonio favolistico del mondo latino fornisce lo spunto per la produzione di Jean la Fontaine, lo scrittore di favole più famoso in Europa. I protagonisti delle sue favole – animali che incarnano i vizi e le virtù degli umani – hanno avuto un tale successo da non contare le riedizioni: in mostra si vedono fra le tante quelle illustrate da Gustave Doré, Marc Chagall, dai contemporanei e premiati Quentin Blake e Rebecca Dautremer.

Non possono poi mancare gli autori classici come Perrault – il principe della fiaba per adulti nella Francia del Re Sole – e i fratelli Grimm, che aprono senza filtri la strada al recupero della tradizione popolare e orale più antica nel contesto romantico della riscoperta delle origini. In mostra poi le fiabe di Andersen che, ispirato dalla realtà e dalla sua infanzia, impiega un linguaggio talmente colloquiale da inserire la fiaba nella modernità. Fra gli italiani non si può dimenticare Italo Calvino, ricercatore appassionato delle tradizioni narrative italiane che considera questo patrimonio la sintesi dei reali destini di uomini e donne.

“C’era una volta… Favole e fiabe dalle raccolte classensi”. Fino al 2 marzo – Ravenna, Biblioteca Classense, Corridoio grande. Orari: mar-sab 9-19, ingresso gratuito

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