E se San Marino chiudesse i confini? Il primo romanzo di Restivo, autore di Cattelan

Ravennate “di cuore”, lavora per la tv, in radio conduce Cater XL, è tra gli organizzatori del festival Ghe pensi mar. «Il ricordo più emozionante? Forse aver lavorato a un’edizione dei David di Donatello. Ma gli aneddoti davvero belli non posso dirli…»

luca restivo

San Marino Goodbye è il primo romanzo di Luca Restivo. Nato a Castel San Pietro ma ravennate di cuore più che d’adozione, Restivo è autore televisivo per La7, Sky e Rai, conduttore radiofonico ed è conosciuto da queste parti per essere tra gli organizzatori del festival estivo Ghe pensi mar, che da due anni porta al bagno Polka di Marina Romea alcuni dei nomi
più importanti del jet set nazionale.
San Marino Goodbye (Blackie edizioni, 2024) è un romanzo umoristico, che parte da un’intuizione fantapolitica paradossale e azzeccata, di questi tempi: cosa succederebbe se la vilipesa e ridicolizzata Repubblica di San Marino decidesse un giorno di chiudere i suoi confini? Da questo spunto si dipana una narrazione surreale e grottesca, zeppa di personaggi idioti e particolari jacovittiani (ho contato più di 7 cappellini descritti), che mescola la commedia all’italiana con la Hollywood demenziale di Mel Brooks e Zucker-Abrahams-Zucker.
A partire da una semplice sbarra di dogana abbassata, l’escalation della stupidità è vertiginosa: un effetto domino che porterà il micro-stato sammarinese sul piede di guerra. Così San Marino diventa una lente d’ingrandimento per vedere meglio le nostre storture, ridere dei nostri tic e delle nostre nevrosi identitarie.

Dalla televisione alla narrativa. Come sei arrivato al romanzo?
«Faccio l’autore televisivo e mi occupo di intrattenimento e di commedia. Lavoro da qualche tempo con Alessandro Cattelan, per Stasera c’è Cattelan, ma ho collaborato anche con Crozza e con altri programmi comici. Tutti i programmi che ho fatto andavano in quella direzione: anche il programma radio che conduco, Cater XL, per Radio Rai 2, si occupa di vedere l’attualità in chiave, se non proprio satirica, almeno divertente. Questa è la cifra attraverso cui guardo il mondo, per deformazione forse, e mi è molto difficile mettere un altro paio d’occhiali. Quando ho trovato la storia che davvero mi convinceva, la chiave della satira è la prima che mi è venuta in mente».

Abiti a Milano ma sei molto legato a Ravenna. Che rapporto hai con la città? E come è nato il festival Ghe pensi mar?
«Metà della mia famiglia, quella da parte di padre, è di Ravenna, città in cui mi trovo benissimo. Quando vengo qua mi si stacca il cervello e mi rilasso. Conosco molte persone che vengono da Ravenna e dintorni, e tutti volevano realizzare qualcosa qui, in questi luoghi. Così, dopo la pandemia, abbiamo trovato un bagno, il Polka di Marina Romea, che ci ha dato ospitalità. Da lì è nato Ghe pensi mar, che è un modo per farsi pagare dal Polka una vacanza con gli amici di Milano, in cambio di qualche presentazione! A parte gli scherzi, l’idea è portare delle persone qua, farle star bene come solo si può stare da queste parti, parlare di cose serie e di cavolate, di sport, di spettacolo. Il fatto che siano gli stessi ospiti a chiamarci per venire l’anno seguente vorrà dire qualcosa».

Lavorando in televisione ne devi aver viste delle belle. Ci racconti un aneddoto divertente sul tuo lavoro come autore televisivo?
«Volendo fare ancora per molto tempo questo lavoro, le cose davvero belle non posso dirle. L’unica cosa che voglio dire è che in oltre 12 anni di esperienza e di copioni da dover stampare all’ultimo, le fotocopiatrici di ogni redazione televisiva sembrano intuire la necessità dell’urgenza e si inceppano sempre nel momento peggiore. Spesso a pochi minuti dalla diretta quando tutti, dal regista fino all’ultimo cameraman, urlano di volere il copione. Non sta a me giudicarmi come professionista, ma credo di essere tra i migliori riparatori di fotocopiatrici autodidatti d’Italia».

C’è un programma a cui hai dato un contributo di cui vai particolarmenteero, a cui ripensi sempre con soddisfazione?
«Ho avuto la fortuna di lavorare con artisti che sono dei personaggi incredibili sia in scena che fuori. Amando molto il cinema, aver avuto l’opportunità di lavorare a un’edizione dei David di Donatello è forse il ricordo più emozionante. Il momento rimasto indelebile di quella serata fu il ringraziamento “infinito” di Valeria Bruni Tedeschi sul palco, un numero perfetto in quanto del tutto improvvisato».

Parliamo del tuo libro. Da dove ti è venuta questa insana passione per la Repubblica “più antica del mondo”? I suoi usi e costumi sono descritti nel dettaglio: devi aver studiato tanto.
«Sì, ho iniziato a lavorare al romanzo nel 2017. Ci ho messo appena sette anni per portarlo a termine! San Marino mi ha sempre interessato. Quand’ero piccolo c’era questa leggenda metropolitana sui sammarinesi che non pagavano le multe e potevano andare forte con la macchina, parcheggiare ovunque. Ma il romanzo nasce perché volevo raccontare la cosa che mi fa più ridere in assoluto: l’ottusità. Non c’è nessuno di più ottuso di un burocrate, e nessuno più di un burocrate che lavora in una dogana. Ho pensato: qual è la dogana più assurda che possa esistere? Quella di un micro-stato. E il micro-stato più vicino a me è San Marino. Sono andato a farci un giro, da solo, e quando ho visto che sulla dogana di San Marino sta scritto, a caratteri cubitali, Benvenuti nell’antica terra della libertà, ho capito che era il luogo perfetto. Così ho iniziato a leggere tutto quello che riguardava la storia di San Marino, che ha passato vicende incredibili. Indipendente dal 301 d.C.; una popolazione pari a quella di Lugo, ma con una corte costituzionale, un parlamento, due presidenti, un carcere… Un sistema gigantesco per poche persone, ma al quale sono tutti molto attaccati. Il valore della libertà è molto sentito».

Colpisce la grande quantità di personaggi che fai agire nella storia: doganieri, coppie di tiktoker, nostalgici fascisti, giornalisti, piccoli e grandi burocrati ministeriali…
«Volevo scrivere una satira sul potere e sulla stupidità umana, che è alla base del 99% delle nostre azioni. Ma il potere è sempre distribuito fra tante persone: ognuna concorre all’idiozia generale. Così ho preso spunto dalla migliore tradizione cinematografica italiana, Monicelli, Germi; ma anche da film più recenti, come Siccità di Virzì o Don’t look up!, di Adam McKay, che partono da un what if gigante, condiviso fra tanti personaggi. La coralità era la chiave giusta. Viviamo in un’epoca in cui è facile trovare un capro espiatorio. Ma io non ci credo, credo che la colpa sia di tutti. E per dire che la colpa è di tutti, servono tanti personaggi».

Scrivere per la televisione ti ha formato, dal punto di vista letterario? Se sì, in che modo?
«Mi ha aiutato a capire che per il tipo di romanzo che volevo scrivere (non dico che per tutti debba essere così, ma lo è per me) usare un linguaggio semplice ma mai semplicistico era un obiettivo da tenere sempre a mente».

Maestri letterari?
«Il primo Ammaniti, Jonathan Coe».

Hai altri progetti in mente?
«Poche storie, non tantissime. Non sono affascinato dalla serialità. Poche cose, che vorrei cercare di fare al meglio. Ma lo sguardo sarcastico da stronzetto ce l’avrò sempre. Difficile che possa scrivere un dramma famigliare…»

Nel libro hai inserito una citazione di Giuseppe Cruciani: “Oggettivamente San Marino non ha senso di esistere”. Sei d’accordo?
«No! Hanno resistito così tanto, non vedo motivi per interrompere adesso la loro storia secolare. Almeno finché il libro è in vendita».

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