martedì
17 Giugno 2025
L'intervista

Manuel Agnelli dal vivo a Conselice: «La musica può essere salvifica»

Parla lo storico leader degli Afterhours, in concerto per "Romagna in fiore"

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Manuel Agnelli 1

Tra i protagonisti di “Romagna in fiore”, la rassegna solidale di Ravenna Festival, sabato 1 giugno (ore 16) arriva alla Cab Massari di Conselice Manuel Agnelli, storico leader degli Afterhours, tra i nomi che hanno fatto la storia del rock cantato in italiano.

«L’alluvione in Romagna – ci dice al telefono – mi ha sinceramente colpito, anche perché ha toccato luoghi che avevo recentemente visitato in lungo e in largo in occasione del mio progetto su David Bowie (“Lazarus”, spettacolo prodotto da Ert/Teatro Nazionale che ha debuttato a Cesena nel marzo del 2023, ndr). Ho quindi accettato volentieri di suonare a Conselice, avendo anche voglia di riportare in giro il mio progetto solista (in scaletta ci saranno anche pezzi degli Afterhours, che sono comunque sempre miei) perché avevo percepito un sacco di calore e di amore dalle vostre parti».

Si tratta di un concerto per forza di cose anche “politico”, per la sua attenzione verso i cambiamenti climatici. Quanto deve esporsi su certi temi non musicali un artista?
«Deve essere consapevole che è un cittadino con un megafono, non tutti hanno questa possibilità. Io lo sento, il dovere di prendere posizione. Ultimamente, per esempio, ho partecipato al concerto all’Angelo Mai per chiedere il “cessate il fuoco” in Palestina, un tema su cui invece ho notato troppi silenzi. Forse perché c’è molta confusione sulla questione israelo-palestinese. Ma la vita e i diritti umani dovrebbero arrivare prima della geopolitica e non ci sono dubbi che quelli vadano salvaguardati. Forse è anche una questione generazionale: i giovani oggi sono più pronti a schierarsi giustamente per il cambiamento climatico, perché li riguarda in maniera diretta, ma è anche più facile. Sono invece un po’ deluso dalla nuova generazione di artisti, in questo senso, che mi sembra persegua un materialismo spinto, frutto di un individualismo estremo, che si nota anche dal fatto che ci sono sempre meno band e sempre più solisti, che hanno come obiettivo solo quello di diventare, banalmente, ricchi e famosi»·

Ti senti ancora parte di una scena italiana?
«Nella mia storia sono sempre stato più fuori che dentro la “scena”. Ho avuto la fortuna, e anche il merito, di portare avanti un progetto davvero indipendente, dalla scena mainstream così come da quella alternativa, con tutti i suoi codicilli e regole asfittiche, spesso più “fascisti” che altrove. Insieme a pochi altri credo di poter dire che ho rappresentato un’eccezione».

Anche dal punto di vista creativo, mi pare si possa notare un certo appiattimento oggi, senza più steccati tra i generi, con le piattaforme di streaming a farla da padrone.
«Sono d’accordo, non è molto stimolante. Non mi piace il processo creativo che si è sviluppato oggi, quello con i featuring, cinque produttori e cinque autori spesso dello stesso team, che rendono le canzoni inevitabilmente tutte uguali. Non sta creando niente di veramente emozionante, su questo credo che Morgan abbia ragione. I tempi cambiano, ma questo periodo sta durando un po’ troppo dal punto di vista musicale, diciamo che è portato avanti senza “rischi d’impresa”».

C’è qualcosa che ti fa sperare in un cambiamento?
«Vado ancora in giro tanto e c’è una base che sta reagendo, persone che suonano per inseguire una visione, non per fare successo. Lo sto vedendo in tanti ragazzini: l’abbattimento delle varie scene ha portato anche a molta libertà, a una commistione di stili interessanti. Sta tornando per esempio l’hardcore degli anni ottanta, il rock in tantissime declinazioni, suoni abrasivi, molto liberi. Non ho nulla ovviamente contro il rap e la trap, la musica deve essere anche l’espressione della società e di quello che vuole la gente. Ma in questi anni hanno fatto passare il rap come un fenomeno di riscatto sociale. E potrebbe anche essere così, se non fosse che molti non vengono realmente dai bassifondi. Ma va anche detto che se cinque ce la fanno, altri milioni no. E non è per “farcela” che bisognerebbe fare musica».

Su cosa stai lavorando al momento?
«Sto scrivendo materiale nuovo, sempre per la mia carriera solista. E mi sto organizzando per tornare in tv…».

A proposito di tv, pentito di X Factor (l’intervista è stata realizzate prima della notizia del ritorno di Manuel Agnelli tra i giudici di X Factor, ndr)?
«No, è stato per me un’occasione di grande comunicazione. Sono riuscito a raccontare la musica (e anche la vita, ma chissenefrega) a un pubblico, a gente che non parlava il mio linguaggio. Ho voluto soprattutto dire che c’è un modo diverso dal “fare successo”, che la musica può essere anche una questione un po’ più profonda, nobile e salvifica. E poi ho fatto suonare in televisione dei pezzi che si sentono raramente. Le mie aspettative erano tante: avevo l’arroganza di voler cambiare un po’ il mondo televisivo, devo ammetterlo, ma in fondo se non ce l’hai questa arroganza, poi in tv non ci vai. La realtà è che il sistema è sempre più forte di te. Ma comunque ho portato avanti alcuni progetti, i Little Pieces of Marmelade sono ragazzi di talento che da X Factor sono diventati praticamente la mia band live (saranno anche a Conselice, ndr). E ce ne sono altri».

E i Maneskin? Pentito per i Maneskin?
«Comunque la si pensi, sono la cosa più grossa che è uscita dall’Italia. Qualche pezzo buono credo lo abbiano anche fatto, ma indipendentemente da quello, erano un’occasione per sprovincializzare l’Italia musicale. Siamo stati capaci di rovinare anche questo. Loro se la stanno spassando, giustamente, ma l’Italia non ne ha approfittato».

Gli Afterhours torneranno?
«Al momento sono ancora congelati. Sono troppo grandi, troppo impegnativi, mi porterebbero via l’anima. Preferisco fare musica con più libertà ora, senza essere vincolato da progetti e organizzazioni».

Guardandoti indietro, rinneghi qualcosa? Qualche canzone di cui sei particolarmente orgoglioso, invece?
«Non rinnego niente. Qualcosa è invecchiato male, come inevitabile, ma le canzoni rimangono, spesso quelle più semplici, che sono quelle che hanno un contenuto che difficilmente invecchia. “Quello che non c’è”, per esempio, è applicabile anche all’oggi e la ripropongo sempre volentieri. Delle nuove da solista, invece, “Milano con la peste” e “Ama il prossimo tuo come te stesso” per me sono una sintesi raggiunta, un punto di arrivo, quello di riuscire a raccontare cose molto chiare senza perdere di carattere. Come “Musa di nessuno”, forse, tornando indietro. Non so, è difficile scegliere, prova a suggerire tu…».

“Strategie”?
«Sì, potrebbe tornare in scaletta. Magari proprio a Conselice, chissà..».

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