lunedì
23 Giugno 2025
arte

A Bagnacavallo un’immersione nella grafica della seconda metà dell’Ottocento

La nostra recensione della mostra in corso al Museo Civico delle Cappuccine

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Un’immersione nella grafica dalla seconda metà dell’Ottocento fino agli anni Settanta del nuovo secolo: è questo il percorso della mostra al Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo intitolata La Rivoluzione del segno – a cura di Davide Caroli e Martina Elisa Piacente con la collaborazione di Marco Fagioli – che attraverso un centinaio di pezzi descrive in modo chiaro il cammino artistico europeo di questi decenni così creativi.

Seguendo il percorso già tracciato dalle mostre precedenti – dedicate alla grafica giapponese e artisti esperti della grafica come Goya, Klinger e Dürer – e proseguendo la specificità del museo, proprietario di una ricca raccolta grafica, la mostra rappresenta un buon itinerario per verificare artisti e correnti a cavallo dei due secoli visti dal particolare punto di vista delle tecniche come xilografie, litografie e acqueforti.

La mostra si basa non solo sugli esemplari appartenenti al museo, ma anche su prestiti di altri musei e di collezionisti privati, caratteristica questa che dà un valore aggiunto all’esposizione, adatta quindi anche a un pubblico più esigente, che può vedere opere meno conosciute. Si parte dalla prima stanza con incisioni di Goya e se il dubbio assale rispetto al fatto che rientri in date troppo antecedenti rispetto ai movimenti che anticipano le Avanguardie, la risposta sta nell’interpretazione interiore degli esemplari inquietanti tratti dalle serie dei Capricci e dei Disastri della guerra. Goya non descrive il mondo con realismo ma dichiara, anche sperimentando brani di realtà, quello che si muove nel basso ventre degli esseri umani, aprendo una strada per il secolo breve con i suoi storici mattatoi. Seguono sulle pareti alcune opere di Doré, uno dei più grandi illustratori del XIX secolo, grande esperto nelle tecniche incisorie, di cui è in mostra una bella immagine della Ballata del vecchio marinaio di Coleridge. Supera la dimensione romantica il lavoro di Daumier – più vicino al Realismo – che è da considerare una sorta di antesignano dei nostri Altan e Michele Serra. Con ferocia Daumier fornisce durissime critiche a giornali satirici come Le Charivari in cui testo e immagine denunciano corruzione, malversazione e potere.

Appartengono alla stessa temperie realista Manet e gli Impressionisti ed è una sorpresa vedere la loro grafica perché non così diffusa. Per il primo è minore l’impatto: abituati a percepire una linea di contorno netta anche se invisibile perché determinata dai colori in dipinti come la Colazione sull’erba, il risultato estetico si uniforma alla grafica in cui le campiture sono altrettanto nette, addirittura basate solo su una semplice linea di contorno. L’assenza del colore e della luce epica degli impressionisti Renoir e Degas rende invece tutto molto distante dalle loro esperienze pittoriche: non è quindi un caso che le incisioni presenti in mostra – ascrivibili ai due artisti per caratteristiche di soggetto e segno – siano tutte precedenti al 1874, data di apertura della prima mostra impressionista. Impossibile, a meno di non essere Dürer, riuscire a dare la variabilità sensibile della luce e men che meno tradurre il “momento” tipico della loro poetica nelle incisioni prodotte.

Le esperienze post impressioniste invece si adattano bene alle tecniche incisorie specialmente in Toulouse-Lautrec considerato universalmente il padre delle affiche moderne, di cui sono in mostra varie incisioni collegate ai personaggi di cabaret e ai teatri per cui lavorava.

Si rimane un po’ interdetti davanti alle xilografie di Gauguin che mantengono il tratto sintetico, nitido, spigoloso, affidando la potenza dei colori puri alla difficile traduzione in contrasti e variazioni di bianchi e neri. Poco convincenti risultano invece le prove grafiche di Cézanne in cui si mantiene una forte riduzione e semplificazione delle forme ma si perde completamente quella tessitura geometrica dei colori che le costruisce nei dipinti: a sorpresa si vede un Cézanne che nulla a che fare con la pittura che di lui conosciamo.

La mostra prosegue con diverse prove di Matisse: per lui, avanguardista della linea semplice e continua, dei colori puri e contornati, le incisioni, la litografia e la xilografia sono arti che possono stare bene accanto a tela e pennello, mantenendo la stessa freschezza e velocità del segno e sfrontatezza di colore.

Seguono i lavori del simbolista francese Redon, ampiamente conosciuto per le sue incisioni oniriche e grottesche, e quelli del grande illustratore italiano Alberto Martini, forse conosciuto maggiormente in Europa che nel paese natale: di lui sono in mostra alcune illustrazioni di libri che – per la caratteristica di un segno nervoso, preciso e talvolta drammatico – aprono un dialogo con Wildt e coi gruppi degli Espressionisti tedeschi e austriaci. Anche Grosz in Germania e Ensor in Belgio mantengono una grande precisione segnica che si allontana dal reale per tradurre con ferocia la disperazione delle classi meno abbienti, la grossolanità della massa o l’abbandono sociale subìto dai soldati tornati dal fronte. Condivide questa sensibilità il viennese Kokoshka anche se il segno è molto più ampio, quasi pittorico, mentre i temi prediletti spaziano più nell’affondo interiore che nella denuncia sociale. In accordo si misurano anche alcune prove degli espressionisti berlinesi appartenenti al Die Brücke, che preferiscono la xilografia in quanto linguaggio primitivista, adatto a esprimere le emozioni. Si affacciano anche alcuni lavori della controparte espressionista francese fra cui si apprezzano le acquetinte allo zucchero di Rouault in grado di tradurre bene quella pittura estemporanea, emozionale dell’autore. In un salto temporale questi lavori portano anche alle prove dolorose e ingarbugliate di Giacometti.

A questi lavori fanno da contraltare le incisioni equilibrate di Klee e Kandinskij: incredibilmente, nonostante la totale assenza di colori, la poetica e il parco segni dell’astrattista russo si ritrovano bene anche nelle incisioni. Più facile è poi comprendere le prove surrealiste messe un campo da Ernst, Magritte, Man Ray o Dalì vista la totale mancanza di importanza che le tecniche hanno per il gruppo. Si salta quindi a Chagall – che mantiene il proprio afflato poetico anche sperimentando queste tecniche – e poi alle prove metafisiche di De Chirico e poi al ritorno all’ordine degli anni ’30 dove le belle prove di Carrà, Morandi, Campigli e perfino di un giovane Boccioni non ancora futurista riconducono le tecniche incisorie nell’alveo della tradizione.

Al termine, una sala intera è riservata a Picasso, artista proteiforme di una rinnovata sperimentazione di tecniche e linguaggi, compreso le incisioni di cui è stato un grande e generoso produttore.

La rivoluzione del segno. La grafica delle avanguardie da Manet a Picasso
fino a 12 gennaio
Bagnacavallo, Museo civico delle Cappuccine
orari: MA-ME 14.30-18; GIO 10-12.30 e 15-18; VE-DO 10-12.30 e 14.30-19 (aperto anche 26/12 e 6/1 – chiuso il lunedi, 25/12 e 1/1/25)
ingresso gratuito

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