lunedì
16 Giugno 2025
L'INTERVISTA

L’iconico e tragico Fantozzi «Ci è voluto quasi un decennio per portarlo in scena»

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«Nello spettacolo ridiamo tutti insieme di questo sfigato che è Fantozzi, ma al giorno d’oggi sarebbe in realtà un privilegiato con il posto fisso e la pensione, invidiato da molti»

Fantozzi Una Tragedia 1 Ph Nicolo Rocco Creazzo 2
Foto di Nicolo Rocco Creazzo

A volte, nella vita, la perseveranza, soprattutto se unita a un talento conclamato, paga. Ne sa qualcosa Gianni Fantoni, attore e showman a tutto tondo fin dagli anni ’90, che dopo aver prestato in carriera corpo e voce a tutte le declinazioni possibili della creatura di Paolo Villaggio, è diventato l’erede unico per vestire i panni di Fantozzi, il suo personaggio più iconico, designato dal mostro sacro genovese. Fantozzi, una tragedia, diretto da Davide Livermore, arriva (preceduto da un successo clamoroso) al Teatro Alighieri da giovedì 23 a domenica 26 gennaio (ore 21, domenica ore 15.30), ma nel frattempo lo stesso Fantoni ci racconta di come è riuscito a portare il ragioniere più famoso al mondo sul palcoscenico.
Gianni, so che portare Fantozzi in teatro non è stata esattamente una passeggiata di salute.
«Non farmici pensare. Ho anche fatto “testamento” in un libro che si intitola Operazione Fantozzi (Sagoma Editore), dove racconto tutte le peripezie che hanno portato allo spettacolo, così quando un giorno i miei nipoti mi chiederanno “nonno, ma quand’è che ti sei rovinato la vita?” ecco che lo potranno capire. Lì si racconta come mi sono avvicinato alla figura di Fantozzi e di Paolo Villaggio, e poi di come è nata questa malsanissima idea di fare uno spettacolo teatrale che all’inizio avevo pensato addirittura come musical. Quando andai da Villaggio per convincerlo a cedermi i diritti pensò che fossi pazzo, e aveva ragione. Poi ci è voluto quasi un decennio per arrivare finalmente a metterlo in piedi, c’è stata qualche trasformazione cammin facendo ed è diventato la prosa che è adesso, uno spettacolo a mio avviso molto bello, onirico, una di quelle cose che potresti vedere a Londra pensando “ah, peccato che non si faccia in Italia”, e invece no, questa volta l’abbiamo fatta in Italia e ne sono particolarmente contento».
Quali erano i pericoli maggiori nel portare in scena uno dei più grandi miti della comicità italiana?
«È stato come attraversare un campo minato. Primo pericolo: il confronto tra me e Villaggio. È la prima volta che si fa un Fantozzi non scimmiottato o imitato (pur avendolo io imitato negli anni parecchie volte), bensì facendo una reinterpretazione, dunque una cosa completamente diversa. L’imitazione ha bisogno del talento del merlo indiano, che riproduce un suono e dura pochi minuti, mentre la reinterpretazione ha bisogno di una serie di colori che sono dentro di te, innati, e la fanno diventare una cosa diversa, con una tridimensionalità che l’imitazione non può avere. Quindi il confronto tra il Fantozzi fatto dal suo creatore, Paolo Villaggio, e un Fantozzi fatto fuori da lui era pericolosissimo, io ero pronto a essere crocifisso in sala mensa, pensavo che non ci sarebbe stata speranza. E invece la critica è stata unanime nel promuovermi e certificarmi quale primo Fantozzi senza Fantozzi. Dopo di me lo potrà fare chiunque, l’ho liberato dal creatore. La seconda insidia enorme era confrontarsi con il Fantozzi primigenio. Io ho acquisito i diritti dei primi tre libri, perché il vero Fantozzi era quello, molto tragico, che poi è diventato altro, un cartone animato, perché Neri Parenti, chiaramente con la complicità vigiledi Villaggio, ne ha fatto una cosa diversa. A me e al regista Davide Livermore interessava fare un lavoro sulla tragedia che permeava la vicenda Fantozzi, e i primi due film ci hanno indicato la via, ma confrontarsi con quei film poteva portare a fare una figura pessima, a una “cagata pazzesca”, perché hai davanti personaggi mitici e un’ambientazione unica. Insomma, affrontare un’opera così grande può tranquillamente portare a rovinarla e a rovinare te stesso. Però la scelta che abbiamo fatto è stata di andare da un’altra parte, ossia sfidare la fortuna ricreando le sensazioni e l’ambientazione del Fantozzi originale senza farne un’imitazione. Beh, sai che c’è? Ce l’abbiamo fatta. Lo spettacolo è un altro mondo, è un Fantozzi nel metaverso, inimmaginabile».

Fantozzi Una Tragedia 8 Ph Nicolò Rocco Creazzo
Foto di Nicolò Rocco Creazzo

L’aspetto tragico è in effetti molto attinente alla saga di Fantozzi, io quando vidi il primo film da bambino piansi.
«Ci credo, d’altronde, dopo il primo, uscirono libro e film che si chiamavano Il secondo tragico Fantozzi. Il tragico è proprio nel suo dna, e lo è talmente tanto da fare il giro e diventare comico. Non a caso lo spettacolo riprende a tratti i canoni della tragedia greca. Ci sono istanze altissime, in cui mi muovo per la prima volta, perché la tragedia greca non è ciò che ho frequentato di più negli ultimi trent’anni della mia vita. Mi sono trovato anch’io in un ambiente completamente esterno, anch’io nel mio metaverso personale, alle prese con Edipo, Filottete, questioni sulle quali, francamente, non avendo una formazione classica, mi sono trovato un po’ sguarnito. Però mi è piaciuto affrontarle e con Livermore ci siamo trovati su un terreno comune. Alla fine ne è nata una creazione sorprendente per il pubblico ma anche per me, io stesso mi sono trovato a usare sfumature ed emozioni nella recitazione che non avevo mai frequentato. È una specie di evento unico nel continuum temporale».
Lo spettacolo è molto particolare, con una scenografia “uditiva” dovuta anche alla collaborazione di Fabio Frizzi, compositore delle musiche dei film, e con tante trovate.
«Sì, è un ambiente onirico e come tale vive anche di suoni fatti dal vivo con la voce, di ambientazioni sonore inaspettate; diciamo che è uno spettacolo molto molto al di fuori dei canoni abituali, un po’ come Livermore ci ha abituati, lui che è sempre alla ricerca di forme di rappresentazione al limite della crossmedialità. È un’opera molto particolare e sono lietissimo del risultato. Dopo tutta la fatica fatta per un decennio sarebbe stato un peccato fare una schifezza, e invece è saltato fuori uno spettacolo di cui sono molto orgoglioso».
Nel tuo lavoro hai sempre adottato un’ironia molto sottile e ricercata, e secondo me è un elemento fondamentale per uno spettacolo come questo.
«Grazie, purtroppo però questo tipo di umorismo sottile negli anni non ha pagato. Per formazione ho avuto la fortuna di guardare la tv in bianco e nero, con gente come Raimondo Vianello, dall’umorismo molto raffinato, pulito, elegante, e naturalmente se uno impara da quello cerca poi di riprodurlo, anche senza volere. Io scientemente ho scelto di non fare battute grevi, di non usare parolacce, se non proprio qualcuna sparsa negli anni. Di questa cosa qualcuno si è accorto ma in un momento culturale in cui tutti urlano, andare sottovoce e dire “scusi, ma io non sgomito” alla fine non paga molto. Però se tutta la fatica che ho fatto alla fine mi ha portato a fare questo Fantozzi, è andata bene».

Fantozzi Una Tragedia 2 Ph Nicolò Rocco Creazzo
Foto di Nicolò Rocco Creazzo

Il personaggio Fantozzi è circondato da comprimari incredibili, da Filini alla Pina, da Calboni alla signorina Silvani. Non dev’essere stato facile creare il cast per lo spettacolo.
«In effetti no, però sono stati fatti dei provini che ho seguito da vicino, finché pian piano non è emerso il cast giusto per affrontare questo tipo di operazione e devo dire che ora sono circondato da grandissimi attori e attrici senza i quali mi sentirei perso, perché, appunto, non c’è un personaggio sopra gli altri, è uno spettacolo corale, come lo erano i film originali. Se tu pensi ai primi due, la coralità è proprio il segreto del loro successo e soprattutto di quello di un certo cinema italiano degli anni ‘60 e ‘70. Non c’era mai un piccolo ruolo buttato via, vedevi dei personaggi minori ma con dei caratteristi fantastici, e questi arricchivano l’intrattenimento con vette mai più raggiunte. Quindi essere sul palco con altri otto professionisti continua per me a essere una grande fonte di gioia e di sicurezza, perché trovarmi vicino a questi bravissimi interpreti è una gioia, quando lavoro insieme a loro sono ammirato, c’è un bellissimo clima. È una di quelle rare occasioni che la vita ti può delle volte dare, ma ci è voluto tanto perché ci arrivassi».
Villaggio ti ha venduto i diritti, dandoti l’imprimatur per portare avanti la leggenda Fantozzi, una bella soddisfazione. Lui che tipo era?
«Per avere i diritti ho dovuto vendere un rene, però sì, si è fidato, e vuol dire molto, perché me lo diceva sempre che Fantozzi era la sua vita, e sapendo perfettamente che se affidi il personaggio della tua vita nelle mani sbagliate può succedere di tutto. Bene o male con Villaggio ci siamo frequentati a macchia di leopardo per un trentennio. La prima volta è stata nel 1991, da lì in poi ci siamo sfiorati spesso e ho fatto anche una piccola parte nell’ultimo episodio della serie cinematografica di Fantozzi. Lui era molto selettivo, non si accontentava, cercava sempre di smontare chi aveva davanti, ma essere presi in giro da uno come lui è un vanto».
Nello spettacolo c’è anche un momento in cui la tragedia di cui parlavamo assume un’altra connotazione.
«Sì, c’è un piccolo momento shock, dove si fa capire al pubblico che ok, ridiamo tutti quanti insieme di questo sfigato che è Fantozzi, ma questo sfigato al giorno d’oggi sarebbe un privilegiato, perché ha il posto fisso e la pensione garantita, va in vacanza, ha una moglie e una figlia che mantiene, mentre ora c’è gente che il posto fisso se lo sogna di notte e situazioni in cui non è più possibile guardare Fantozzi senza invidiarlo. Fantozzi è un ultimo baluardo, lo conoscono tutti in un modo o nell’altro, anche all’estero. Pensa che Max Bunker (autore, tra i tanti, di Alan Ford, ndr) mi ha raccontato che un pomeriggio si trovò con Steven Spielberg al Lucca Comics e parlarono per tutto il tempo di Fantozzi. Una cosa che forse non sapeva nemmeno lo stesso Villaggio. Anche in Russia è sempre stato molto conosciuto, tanto che se non ci fosse stata la guerra in Ucraina, questo spettacolo sarebbe stato co-prodotto dal teatro di San Pietroburgo».
Per chiudere ti devo proprio chiedere quali sono almeno un paio delle tue scene preferite di Fantozzi.
«Sicuramente la partita di tennis: quando, per la prima volta, sentii lo scambio di battute tra Filini/Gigi Reder e Fantozzi “Allora che fa ragioniere, batti?”, “Ma che fa mi dà del tu?”, “No dicevo, batti lei?”, “Ah, congiuntivo” a momenti ci lasciai le penne dal ridere. Un’altra scena memorabile, secondo me, è quando va al casinò col Duca Conte Semenzara. L’attore che interpretava Semenzara, Antonino Faà di Bruno, era incredibile, era veramente un conte, con quella voce e quella faccia poteva fare quello che voleva. Ma in Fantozzi i mega-direttori sono fondamentali, tengono su tutta la faccenda, e si ritorna al discorso dell’importanza di tutto il cast. Basti pensare appunto a Gigi Reder, un gigantesco Filini, a Milena Vukotic e prima di lei Liù Bosisio nell’interpretare la Pina. E lì bisogna ringraziare quel genio che era Luciano Salce, che è riuscito a immaginare un mondo di sfigati e più sfigati, per cui tutta l’umanità che già era nei libri di Villaggio è riuscito a tradurla in immagini e personaggi vivi».

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