martedì
24 Giugno 2025
l'intervista

Concita De Gregorio tra teatro e giornalismo: «La qualità del racconto vince sempre»

La nota giornalista all'Alighieri. «Nel mio reportage da Ravenna avevo capito che De Pascale avrebbe fatto carriera»

Condividi

Concita De Gregorio

«Sarebbe bello se, al nostro funerale, avessimo la possibilità di arrivarci da vivi, per avere l’occasione di proferire noi stessi l’ultima parola».

Lo dice la celebre giornalista (e scrittrice) Concita De Gregorio (in estrema sintesi: a Repubblica dal 1990 al 2008, poi direttrice de L’Unità dal 2008 al 2011, e rientrata a Repubblica come editorialista) nella cartella stampa di presentazione di Un’ultima cosa. Cinque invettive, sette donne e un funerale, spettacolo tratto dal suo omonimo libro atteso il 15 febbraio al teatro Alighieri di Ravenna.

«Un’ultima cosa – dice De Gregorio – è una ricerca intima e personale che mi ha condotta nel corso della vita ad appassionarmi alle parole e alle opere di alcune figure luminose del Novecento – donne spesso rimaste all’ombra di qualcuno (da Vivian Maier e Lisetta Carmi, ndr). Ho studiato il loro lessico fino a “sentire” la loro voce, quasi che le avessi di fronte e potessi parlarci. Ho avuto infine desiderio di rendere loro giustizia. Attraverso la scrittura, naturalmente. La drammaturgia è stato un lavoro di montaggio che dà vita a cinque quadri in successione: le donne prendono parola in scena, a teatro, subito prima di uscire di scena, nella vita. Come se un momento prima di sparire potessero voltarsi verso il pubblico: “Ah. Resta un’ultima cosa da dire”».

Come si concretizza la collaborazione con la cantautrice Erica Mou, che sarà con lei in scena?
«Ho chiesto a Erica Mou, una voce magnifica al servizio di una scrittura pura, di dare vita sul palco a un’anima infantile e arcaica insieme: i suoi canti popolari, le sue ninne nanne fanno da controcanto e accompagnano le ultime parole di queste cinque donne con le prime che una bambina sente quando viene al mondo».

Com’è stato il suo impatto con il teatro, nella tournée di questo spettacolo?
«In molti si stupiscono, ma in realtà è tutta la vita che faccio teatro, pur senza farne occasione di dibattito pubblico. Ho studiato teatro, ho scritto per il teatro e non ho mai smesso di farlo. Poi è successo che sono stata invitata a mettere in scena queste invettive che avevo scritto per il mio libro e ho deciso così di salire sul palco in prima persona, ma è come se ci fossi sempre stata».

Come si legano il mondo del teatro e quello del giornalismo?
«Il giornalismo innanzitutto per me è un mestiere, quello che mi ha dato da vivere. Credo che in entrambi i campi serva però la stessa attitudine, quella dell’ascolto. Sin da piccola amavo ascoltare le storie degli altri. E mi continua ad affascinare il poterle osservare e capirle. Che è anche un modo per assistere al teatro del mondo. Piano piano, col tempo questo è diventato un lavoro ma non è mai venuta meno la passione di ascoltare le storie. Fino a quando ho capito che anche io potevo raccontarle e credo che la ragione per cui lo faccio sia per curare un mio bisogno, una mia incertezza esistenziale. Altro legame tra i due mondi è il ritmo, la scrittura ha un suono, ogni testo deve avere anche una sua musicalità».

In questi anni il giornalismo è diventato sempre più social, come si approccia a questo aspetto del suo mestiere?
«Uso i social pochissimo, solo come veicolo per quello che faccio. Non ho una vita social, non scrivo per i social come invece stanno facendo tanti miei colleghi giornalisti, sono una nativa analogica che non ha cambiato le sue abitudini».

La carta è destinata a morire?
«Non penso. Credo che anche in questi tempi social la qualità del racconto vinca sempre. Tanti altri mezzi avrebbero dovuto morire, ricordo che si cantava “Video Killed the Radio Star” ma poi le previsioni non si sono avverate. Certo, i giornali di carta hanno avuto una grande contrazione, ma più per una questione economica e di tempo. Vincono la gratuità e la velocità del giornalismo online, ma non credo che questo sancirà la fine per i libri e i giornali. Ci sarà sempre una nicchia di mercato se si coltiva la qualità del racconto».

Lei ha in qualche modo “scoperto” il sindaco Michele de Pascale, nel 2018, in uno dei suoi reportage da Ravenna per la Rai (a questo link).
«Non vincerò mai il Pulitzer, ne sono consapevole, ma credo invece di avere un grande talento nel riconoscere chi ha talento, chi può diventare “qualcos’altro”. È successo con Michela Murgia, per esempio. E poi in politica con Elly Schlein, con Pippo Civati. In quella serie di reportage, che credo siano la cosa più bella che ho fatto in tv – perché ho vissuto quei posti -, sono felice di aver riconosciuto in De Pascale qualcosa di più di quello che era allora, di aver capito che avrebbe fatto carriera».

Dov’è finita la sinistra? Si intitolava così, quella serie di reportage…
«Credo sia dove si devono tutelare i diritti delle persone, i diritti di tutti. In questo senso credo non si possa non essere di sinistra. Nella destra, in questo campo, continuo a non trovare alcuna risposta».

Condividi
Contenuti promozionali

DENTRO IL MERCATO IMMOBILIARE

CASA PREMIUM

Spazio agli architetti

Un appartamento storico dallo stile barocco e la rinascita di Villa Medagliedoro

Alla scoperta di due progetti di Cavejastudio tra Forlì e Cesena

Riviste Reclam

Vedi tutte le riviste ->

Chiudi