mercoledì
25 Giugno 2025
la recensione

Andrea Raccagni, quell’entusiasmo per la natura che anticipò i grandi dell’Informale

Alla Fondazione Sabe la mostra “Vortice cosmico”, curata da Claudio Spadoni, con sculture selezionate dell’artista imolese. In vita fu ritirato, elusivo, distante dal mercato

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Trovo in Marc Augé una bella riflessione sulle opere d’arte, che afferma come «le opere raccontano il loro tempo, ma non in modo esauriente. Coloro che le contemplano oggi, quale che sia la loro erudizione, non avranno mai lo sguardo di chi le vide per la prima volta. È questa mancanza, questo vuoto, questo scarto fra la percezione scomparsa e la percezione attuale che le opere originali esprimono oggi».

La percezione di questo scarto – che Augè indaga nelle opere antiche ma che si può estendere anche a lavori di qualche decennio fa – è la percezione stessa del tempo, della sua fragilità, che l’erudizione o il restauro cercano illusoriamente di cancellare. Seguendo questa interpretazione, viene suggerito che l’arte stessa, nelle sue diverse forme, è una rovina (o una promessa di rovina) che per esistere, per mantenere il proprio status e quella sorta di inviolabilità di oggetto d’arte, ha bisogno di uno sguardo abile e capace di leggerla.

Utilizzo queste riflessioni per Vortice cosmico, la mostra dedicata ad Andrea Raccagni (1921-2005), allestita alla Fondazione Sabe di Ravenna, che raccoglie diverse sculture dell’artista imolese eseguite fra gli anni ‘50 e ‘80 dello scorso secolo. Pochi decenni sono sufficienti per definirla una mostra storica. Il curatore Claudio Spadoni ha progettato assieme a questa anche l’esposizione al Museo San Domenico Imola, aperta fino al prossimo 13 luglio, che indaga l’attività di Germano Sartelli (1925-2014), scultore come Raccagni. Le due mostre andrebbero viste insieme per capire le grandi differenze e residue affinità dei due conterranei – quasi coetanei – e per avere idea delle dinamiche poetiche di quei decenni.

Lo sguardo di Spadoni è complesso: ha conosciuto personalmente i due artisti e ha assistito alla nascita di alcune loro serie, ha scritto testi critici e ha curato esposizioni dei loro lavori. Anche l’atto della scrittura viene indagato da Augé: pretende la distanza dal e la vicinanza al lavoro d’arte, richiede una distanza fra sé e sé – che significa ciò che ho visto? – e ricostruisce a distanza il ricordo dell’esperienza, tenuto conto del metodo critico e del contesto. Chi scrive e cura mostre può quasi essere considerato una sorta di guardiano delle rovine del tempo.

In questa mostra di pochi, selezionatissimi pezzi di Raccagni forse non potremo avere la percezione del tempo in cui queste opere sono nate – perduta per sempre o basata sul ricordo che per Augé è in gran parte inaffidabile – ma avremo l’attuale. Forse anche il tentativo di ricostruzione della percezione passata. Leggendo il breve e denso scritto in catalogo del curatore, comprendiamo a ritroso il senso delle parole scritte nel 1957 da Arcangeli – testimone diretto del lavoro al suo sorgere –, che vede nel lavoro di Raccagni una prova dell’ultimo naturalismo padano, da intendersi non come ritorno all’Ottocento ma come partecipazione quasi entusiastica al mondo naturale, espressa nella seconda metà degli anni ‘50 dalla variante locale dall’Informale italiano. Una declinazione che ebbe esiti addirittura in anticipo, se le date contassero nel mondo dell’arte, rispetto a quelli di colleghi ben più noti e internazionali. Ritirato, elusivo, distante dal mercato, Raccagni – come del resto Sartelli – ha pagato il suo isolamento con l’ombra. Spadoni infatti ha avuto modo di spiegare in conferenza che il mondo dell’arte non concedeva spazio a chi si presentava da solo, chi non aveva la stoffa di promuovere continuamente il proprio lavoro, chi non ha avuto la fortuna di incontrare qualcuno che poteva farlo per lui, gallerista, giornale o critico che fosse.

Nelle sculture in mostra a Ravenna si evidenziano i richiami naturalistici cui accennava Arcangeli: steli, foglie, siepi, alghe, sassi, rampicanti, rappresentano quell’azione costante di un esercizio di dialogo fra l’artista e la natura circostante, formata da studi scientifici e alimentata da una passione quotidiana. Che questi elementi siano direttamente presenti nell’opera come materiali extra-artistici, inseriti o ricoperti, o che siano in realtà, e spesso, solo citazioni virtuali – accenni nelle forme delle lamiere, liberamente fuoriusciti dal piano – poco importa.

Questo substrato di oggetti racconta di uno stile di vita prima ancora di un’arte, dedicato a esplorare con passione la natura, a interrogare la poesia degli oggetti che la compongono e che entrano a far parte di uno spazio interiore, per poi riemergere in un linguaggio artistico che oscilla le polarità opposte di regola ed eccesso.

Vortice cosmico. Andrea Raccagni – fino al 29 giugno
Ravenna, fondazione Sabe per l’arte, via Pascoli 31.
Orari: gio-do 16-19. Ingresso libero.

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