venerdì
27 Giugno 2025
l'intervista

Il seminale “Fragole e sangue” di Monica Francia rivive grazie al lavoro di due giovani autrici

Zoe Francia Lamattina e Ida Malfatti rivisitano, insieme alla coreografa ravennate, lo spettacolo che nel 1994 sparigliò le carte della danza contemporanea. «In scena un archivio vivente delle mie pratiche, trasformate per l’oggi»

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Nel 1994 Monica Francia e la sua compagnia (in quel momento composta da Francesca Proia, Gerardo Lamattina e Danilo Conti) misero in scena quello che con buona evidenza era – e rimane – un capolavoro della danza di ricerca, Fragole e sangue. Ora, oltre trent’anni dopo, quello spettacolo (o, meglio, la sua energia generatrice) rivive in Fragolesangue (tutto attaccato), che Zoe Francia Lamattina (incidentalmente figlia della coreografa ravennate) e la drammaturga Ida Malfatti hanno creato insieme alla stessa Francia e che sarà in scena per Ravenna Festival all’Almagià domenica 29 giugno alle 21. Con le tre autrici abbiamo fatto una lunga chiacchierata.

Monica Francia Fragole E Sangue 1994
Monica Francia in scena nel 1994 in “Fragole e Sangue”

Com’è nato questo Fragolesangue?
Zoe Francia Lamattina: «Lo spettacolo è la prima opera che si materializza in forma completa dopo un processo iniziato nel 2021, quando decisi di esplorare l’archivio delle pratiche di Monica e rimetterle nel mondo. Con Ida abbiamo allora fatto partire ARCHIVIA, un progetto di ricerca coreografica che intende appunto trasmettere e trasformare il repertorio di pratiche e di partiture (le partiture per Monica sono delle intuizioni codificate) prodotto tra gli anni Ottanta e i primi Duemila da mia madre. Questo perché, dopo aver fatto audizioni e formazioni in lungo e in largo in Italia e in Europa, non avevamo trovato ciò che ci interessava rispetto alla ricerca sul corpo, rendendoci così conto che quello che cercavamo era molto più vicino, ce l’avevo praticamente in casa. Durante ARCHIVIA a un certo punto è successo che Monica ha avuto l’idea di riattraversare Fragole e Sangue, così nell’estate del 2023 Ida e io abbiamo guardato il video dello spettacolo e abbiamo pensato a come rifarlo. Dunque si tratta di un “debutto non-debutto”, perché comunque Monica è un’artista già affermata ma che non lavora nell’ambito della produzione da tanto tempo, mentre Ida e io siamo super-emergenti».
Ida Malfatti: «Con Zoe avevamo lavorato tanto sulle pratiche di Monica e aperto un bacino generativo e ricco di possibilità artistiche, così ci siamo chieste come fare a direzionare la ricerca e farla continuare dandole una nuova forma che potesse richiamare persone. Questo era il nostro bisogno, la voglia di trovare una forma anche pubblica a quello che stavamo facendo a porte chiuse da anni».
Monica Francia: «Quando Zoe e Ida si sono rivolte a me, avevano già coinvolto tutta una serie di persone interessate a queste pratiche, stava diventando un archivio vivente, e il mio ruolo doveva essere di preparare i corpi di queste persone, offrendo loro le mie pratiche, che insieme poi trasformavano, soprattutto a livello di linguaggio, a livello di come passarle, come descriverle, spiegare a cosa servivano».

E così arriva Fragole e sangue.
ZFL: «Sì, ci siamo dette: “dentro ad ARCHIVIA concentriamoci su uno spettacolo, con tutte le sue specificità, e partiamo da questo per rifare, oggi, la domanda innervata a esso”. La cosa interessante di Fragole e Sangue, come metodo, è che, nel ’94, tutto l’audio era ricavato da tracce sonore di spezzoni di film; dialoghi e silenzi, niente musica, e noi abbiamo scelto di mantenerlo completamente intatto (anche se digitalizzato), quindi avevamo un limite molto chiaro su cui lavorare. Poi abbiamo scelto di essere dieci in scena, invece dei quattro che c’erano allora – e di questi dieci quasi nessuno proveniente dalla danza –, che è comunque una posizione forte, perché, in ottica di giro, chissà quando potremo essere di nuovo così tanti».
MF: «Nell’azienda danza di oggi proporre un’azione con dieci danzatori in scena è un suicidio artistico, soprattutto se è il primo lavoro di un gruppo nuovo come il nostro».

Quali sono le differenze strutturali tra lo spettacolo del 1994 e questo?
ZFL: «Oltre al numero di interpreti in scena, sicuramente nel nuovo Fragolesangue si è aggiunto un lavoro importante sulla spettatorialità: allora lo spettacolo era frontale, normale insomma, da teatro; noi invece, dopo anni di lavoro proprio sul pubblico, abbiamo deciso che un pubblico frontale, che sta lì e giudica, non lo volevamo. Sono partita andando allo stadio. Lì il pubblico è ovunque, tutt’attorno, e ci sono gli ultrà, che sono contenti di essere lì, non come a teatro, dove la gente si addormenta; gli ultrà sono contenti e urlano. Questo mi piace, è divertente, vorrei che il mio pubblico urlasse. Ecco allora che abbiamo messo anche il doppio fronte, cioè due gradinate che si guardano, all’Almagià, perché comunque Fragole e Sangue è un lavoro sullo scontro frontale, sul conflitto come forza generativa potente che può dar vita non soltanto a sofferenza e tristezza ma anche a trasformazione. Dunque il pubblico si guarda, “confligge”. Un’altra novità ce l’ha ispirata il Rocky Horror Picture Show: quello che succedeva negli anni ‘70 nei cinema newyorchesi assistendo al film era che gli spettatori facevano sempre un gran casino, una partecipazione totale. Per tutto un anno c’è così stata la creazione del percorso ALLENAMENTI, un ciclo di laboratori gratuiti e aperti a tutti e tutte cui era possibile accedere senza qualità o capacità acquisite precedentemente. I partecipanti siederanno tra il pubblico agitando la visione e mettendo in questione il ruolo e la postura dello spettatore».
IM: «Abbiamo poi lavorato tantissimo con il suono, quindi su come ci relazioniamo con le tracce sonore dello spettacolo del ‘94 e su come in ciò abbiamo attivato la nostra voce. Il fatto che il suono venisse dall’esterno – nel senso che, come detto, si era scelto di utilizzare quello originale – era come dire che il passato incombe e ci travolge, e invece noi abbiamo attivato una modalità per prendere voce, spazio vocale anche da dentro: quindi canteremo».
MF: «Una questione importante di Fragole e sangue, a parte l’audio, è che è un contenitore sì molto stretto ma che dà anche molto spazio alla trasformazione. Aveva un impatto visivo molto elegante, anche perché le luci erano interne, ossia quattro lampade a mano che da dentro, con una perfezione assoluta, tagliavano esattamente il piano di visione. Quindi il pubblico non vedeva tutto ma solo quello che decidevamo noi, e il lavoro su come e cosa e chi vedi è molto importante».

Ida, a livello prettamente drammaturgico come hai agito?
IM: «La prima cosa che ho fatto è stata seguire quello che veniva fuori mentre lavoravamo, quindi cosa significava osservare i nostri corpi, imparare delle coreografie, riattraversare un passato e vedere fisicamente cosa ci capitava, come stavamo in relazione al passaggio dal 1994 a ora. Banalmente, moltissimi dei film che compongono la traccia sonora li ho scoperti così, non li avevo mai visti, è stato un percorso di ricerca e scoperta in fieri. I film sono come un grande filone “tematico”, parlano anche di questi incontri amorosi che ti cambiano la vita sia a livello personale che collettivo, ecco allora quel legame tra amore, morte e rivolta, con tanti corpi insieme che pretendono di provare gioia e corpi singoli che chiedono dalla vita e dagli incontri di provare gioia. Abbiamo seguito questo filone, erano tutte domande già presenti nel lavoro del ‘94 ma che ci hanno parlato in maniera diversa, perché comunque sono passati trent’anni, che si sentono. La drammaturgia, sia allora che oggi, non è lineare e narrativa, non è che racconta dall’inizio alla fine qualcosa, anche perché la modalità di montaggio dei vari spezzoni dei film è sincopata, ci sono salti ogni 8 minuti da un mondo all’altro, arrivano moltissime voci, dialoghi, silenzi, ambienti sonori diversi. La sfida era come stare in questo flusso di cambiamento continuo, come stare, in dieci, in questi 55 min di storie, amore, rivolte, come prendersi quello spazio».

Perché il titolo Fragole e sangue (e ora Fragolesangue)?
MF: «Fragole e Sangue è la traduzione italiana di un film del 1969 di Stuart Hagmann, che si chiamava The Strawberry Statement, non è la base di partenza di nulla, ha un bel titolo, che è anche ossimorico, ed è tuttora adatto. Per lo spettacolo, nel ‘94, volevo una cosa intima, basica, veloce e potente, da lì i soli quattro interpreti. Così mi sono messa a montare col vhs i film che mi interessavano in quel momento rispetto all’idea di ribellione, rivolta, passione, trasformazione. Complessivamente sono spezzoni di dieci film (dialoghi, silenzi), tra i quali Il cielo sopra Berlino di Wenders, The garden di Derek Jarman, Rosso sangue di Leos Carax e Il diavolo probabilmente di Robert Besson».
ZFL: «Noi abbiamo deciso di unire il titolo in Fragolesangue, per rendere ancora più conflittuale la cosa, come due persone molto arrabbiate l’una con l’altra: se le metti in due stanze separate sei tranquilla, ma cosa succede se le metti nella stessa stanza e le lasci lì?».

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