giovedì
03 Luglio 2025
lirica

Alla ricerca di Anita con le musiche di Gilberto Cappelli

Il compositore parla della sua opera dedicata alla moglie di Garibaldi che andrà in scena alla Fattoria Guiccioli, dove l’eroina trovò rifugio

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Nelle campagne di Mandriole, che da oltre un secolo custodiscono la sua memoria, Anita Garibaldi torna simbolicamente a casa. Lo fa attraverso la forza della musica, con un’opera lirica che porta il suo nome, composta da Gilberto Cappelli. Venerdì 4 luglio alle 21.30 Anita va in scena alla Fattoria Guiccioli, la grande casa colonica tra Casal Borsetti e Sant’Alberto, dove la donna trovò rifugio insieme a Giuseppe Garibaldi, in fuga dopo la caduta della Repubblica di Mazzini.

Qui, il 4 agosto 1849, stanca e malata, si spense a soli 28 anni. Commissionata dal Teatro Lirico Sperimentale A. Belli di Spoleto, città che la scorsa estate l’ha tenuta a battesimo con un debutto di grande successo, Anita ora è pronta per la tappa romagnola. Per Cappelli, che ne ha composto le musiche, «sarà emozionante assistere alla rappresentazione proprio nei luoghi in cui Anita ha vissuto gli ultimi momenti della sua vita».

Nato a Predappio nel 1952, il compositore romagnolo ha dedicato alla musica tempo, studio, impegno, passione. A 14 anni ha iniziato a frequentare il conservatorio G. B. Martini di Bologna, diplomandosi in pianoforte, direzione d’orchestra e composizione sotto la guida di Giacomo Manzoni e Aldo Clementi. Vincitore di un Premio Abbiati alla Critica Italiana, Cappelli con i suoi pezzi ha partecipato a diversi festival di rilievo, come la Biennale Musica di Venezia, Milano Musica, il Festival Pontino. Dopo aver collezionato numerosi successi, Anita rappresenta per Cappelli una nuova sfida: si tratta infatti della sua prima opera lirica.

Cosa l’ha spinta a dedicare l’opera ad Anita?
«È successo per caso. Mia moglie, grande conoscitrice del periodo risorgimentale, nel 2019 mi propose di partecipare alle celebrazioni che si svolgono ogni anno il 4 agosto alla Fattoria Guiccioli, per l’anniversario della morte di Anita. Eravamo al buio, assistevamo alla rappresentazione degli ultimi giorni della sua vita, e io ho avuto un’illuminazione. Stavo cercando un soggetto per la mia prima opera lirica… e il soggetto era lì, davanti a me. Era una storia che già un po’ conoscevo. Quando ero bambino ogni sera mio padre mi raccontava dei suoi eroi: c’erano Bartali, Coppi, ma anche Giuseppe Garibaldi e Anita. È stato bello recuperare quei ricordi d’infanzia e approfondire le vicende di questa donna straordinaria. L’opera è composta da un prologo e otto scene. Si parte dal rinvenimento casuale del corpo di Anita poi, andando all’indietro, si ripercorre la sua la vita divisa tra Sud America ed Europa, tra amore, famiglia, politica, guerra, fughe».

Anita è nota ai più per essere la moglie di Garibaldi, ma forse non tutti conoscono davvero la sua storia…
«Anche per questo ho voluto raccontarla. Anita è nata in Brasile nel 1821 e fin da giovanissima ha dimostrato forza, coraggio, determinazione, partecipando ai moti rivoluzionari in Sud America, come la Guerra dei Farrapos. Fu proprio in questa occasione che vide per la prima volta Garibaldi. Da quel momento i due non si sono più separati, hanno combattuto fianco a fianco prima in America e poi in Italia, nelle lotte per l’unificazione e l’indipendenza. Anita è stata una delle prime donne a prendere parte a conflitti armati, sfidando i ruoli di genere dell’epoca. Credeva nell’uguaglianza tra i sessi e nella necessità di dare alle donne un ruolo più importante nella società. Quest’opera parla di lei, ma anche di tutte le altre figure femminili che hanno partecipato attivamente al Risorgimento, che sono state picchiate, violentate, che hanno dato la vita per gli ideali in cui credevano. Molte di loro sono state dimenticate e attraverso la storia di Anita ho voluto ricordarle tutte».

La musica può diventare quindi uno strumento di memoria collettiva?
«Penso di sì, o almeno questo è quello che ho cercato di fare. La storia di Anita e quella di tutte le altre donne che hanno fatto il Risorgimento sono lontane nel tempo, ma hanno ancora molto da raccontarci. Anita era una persona onesta, dotata di grande umanità. Accanto al marito ha sempre combattuto per gli altri, mai per se stessa, per la ricchezza o per la gloria. È questo che ho voluto far emergere. Credo che oggi ce ne sia bisogno: di umanità, onestà, persone per bene».

Ci sono compositori o correnti che l’hanno ispirata nella scrittura dell’opera?
«Fin da bambino ho sempre avuto una grande passione e ammirazione per l’espressionismo tedesco, la Scuola di Vienna, Schönberg, Berg e Webern. Ma anche per autori tardoromantici come Wagner, Mahler, Musorgskij. Amo il loro modo di far affiorare in maniera potente la natura dell’uomo, l’interiorità, le emozioni. Ed è proprio quello che ho cercato di fare io con Anita: dare voce a quello che aveva dentro, con forza, potenza, immediatezza».

Nell’opera lirica il testo ha un ruolo importante. Insieme ad Andrea Cappelli e Raffaella Sintoni, che hanno curato il libretto, avete cercato un equilibrio tra parole e musica?
«Con Andrea, che è mio figlio, e Raffaella, mia moglie, abbiamo fatto una scelta: il testo non sarebbe stato troppo lungo. Volevamo che fosse intenso, autentico, incisivo. Che arrivasse dritto al punto, senza togliere spazio e potenza alla musica. Oggi siamo bombardati dalle parole e forse abbiamo bisogno di tornare all’essenziale. Poche parole, ma quelle giuste, mirate. In questo modo credo che anche il pubblico riesca a seguire meglio la storia, cogliendone la vera essenza».

Accanto a Giuseppe Garibaldi e ad Anita, che sono i protagonisti, c’è il coro. Che spazio ha nella rappresentazione?
«È centrale. Nel teatro greco il coro commentava ciò che avveniva sulla scena, fornendo al pubblico anche spunti di riflessione. Lo stesso fa il nostro, a cui affidiamo il compito di dire ciò che pensa la gente, dal Sud America alla Romagna, toccando i diversi luoghi in cui la storia si sviluppa».

È la sua prima volta al Ravenna Festival?
«Con un’opera tutta mia, sì. Per me è un onore partecipare a una rassegna di questo calibro, che ogni anno mette insieme autori diversissimi tra loro, ma tutti di alto livello. A coinvolgermi è stato il direttore artistico Angelo Nicastro e sono felice che abbia voluto inserire Anita nel programma. Dietro quest’opera c’è un grande lavoro di squadra: dal regista Andrea Stanisci all’orchestra Calamai, che a Mandriole sarà diretta da Marco Angius, fino agli interpreti: il baritono Alberto Petricca, nei panni di Giuseppe Garibaldi, e la soprano Chiara Guerra, che è Anita. Tutti bravissimi!».

Che ruolo ha la musica nella sua vita?
«Mi accompagna da sempre, con la musica sono nato e cresciuto. Mio padre era un compositore di musica romagnola, mio zio un direttore di coro. È stato molto naturale, l’amore per la musica è diventato grande insieme a me. È il linguaggio attraverso cui mi esprimo. Quando si scrive musica, bisogna essere sinceri. Con la musica non si bara, viene fuori quello che si ha dentro. Sono convinto che per potersi esprimere bene, per creare qualcosa di bello e utile a chi ascolta, sia necessario essere brave persone. Ti esprimi bene solo se sei una persona per bene. Forse questa mia riflessione può far sorridere, ma io la vedo così. Lo pensavo quando ero giovane e oggi ne sono sempre più convinto. Attraverso la bontà e la sincerità, si possono creare cose molto belle».

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