Lupi in fila su un tronco, in mezzo a una foresta invernale di alberi spogli. Garzette, anatre e oche selvatiche nello stesso scenario silenzioso, abbandonato. Una serie araldica di figurazioni ibride, intersecate da una imagerie che sarebbe piaciuta a Jurgis Baltrušaitis, uno dei maggiori esperti di migrazioni iconografiche e di arte romanica.
Per comprendere la personale di Denis Riva aperta nell’ambito del festival Lugocontemporanea,
alle Pescherie della Rocca di Lugo (dal titolo Carte ferite. Carte medicate), per la cura di Massimiliano Fabbri, occorre fare una premessa metodologica per analizzare il processo e la tecnica di lavoro dell’artista centese.
Va narrata la raccolta che pratica di carte di scarto, recuperate o trovate, che vengono immagazzinate nel suo studio indifferentemente dal loro stato. Le carte possono infatti presentarsi bagnate, piegate, deformate o addirittura lacerate ma nella loro essenza di reperti salvati dalla distruzione, il recupero permette la loro restituzione a nuova vita creativa. Il secondo step sembra far parte di un rituale: le carte vengono passate a una prova ulteriore di sopravvivenza, come nel caso dei lavori in mostra a Lugo, eseguiti appositamente per questa occasione.
I supporti hanno superato una sorta di prova del fuoco che li ha ingialliti o malamente e in parte bruciati. Il terzo passaggio è la materia del pigmento che viene utilizzato per lavorare: al centro dello studio dell’artista un contenitore – definito da Riva “lievito madre” – raccoglie china mescolata ad altri colori, residui pulviscolari e materiali, fino ai peli degli animali domestici che frequentano l’ambiente. Quel pigmento dove molta vita confluisce, costituisce il magma primordiale che permette di creare forme, dare vita ai processi di immagini. L’intervento può essere aumentato da pratiche di collage, da strappi successivi, da interventi in punta di matita e pennello con brevi inserimenti di scrittura: tutto contribuisce a definire maggiormente lo scorrere del diorama immaginifico.
Che tipo di immagini sorgono in questo cammino di disseppellimenti progressivi, di atti di salvezza e ferimenti? Fabbri, curatore della mostra, non ha dubbi nell’assimilare l’attività di Riva a quella del geologo e dell’archeologo che scavano per incontrare l’inaspettato, il residuo di altre storie, altri mondi e civiltà. Utilizza anche la parola detective, definizione che rende l’aura investigativa di chi cerca ma – in questo caso – senza sapere quale sia lo scopo della ricerca stessa. L’oggetto ritrovato, in questo caso un’immagine, ha la stoffa di un object trouvé, elemento che si rivela non
realmente nel mondo ma nel momento in cui il segno pittorico, il taglio, l’ingiallimento o altro gli permettono di ritagliarsi un’ombra più definita, dandosi al mondo. In quel caso, Riva si trasforma in cacciatore alla cattura di una preda-immagine nel momento esatto della sua possibile rivelazione. In questo processo di lavoro in cui molto è lasciato al caso, al residuo, alla ferita e alla cura, le immagini si danno come esito di un incontro fra interiorità e interferenze esterne. Le immagini accennate, ritagliate, sospinte a terra, vengono quasi suggerite da macchie e profili, da sgocciolamenti, in un processo interpretativo che assomiglia alla lettura delle macchie di Rorschach.
Differenza sostanziale con questo test proiettivo è che non si tratta di immagini prestabilite ma di incontri personalizzati dalla mano e dall’attività interiore dell’artista, ricreate in tempo reale sul confine fra storia individuale e collettiva. La posizione di Riva è quella di allerta su una soglia da cui si getta uno sguardo sul mondo: come in un film muto – rubo l’immagine al curatore – si tratta di cogliere quel fermo-immagine che permette di dare accesso a una narrazione: se non compiuta, iniziale. Sulla carta prendono forma un tempo e un luogo che restituiscono un frammento ipotetico di esistenza. Che sia virtuale, immaginario, poco importa. Nella maggior parte dei casi viene immortalato un climax in cui la parte sensibile, la sensazione emotiva o sica, si rendono perfettamente percepibili. Non c’è spiegazione o consequenzialità logica alle apparizioni. Come nei Ching, la frase – qui l’accadimento disegnato – non risolve ma accenna a una possibile risposta che spetta solo e rigorosamente all’interrogante. Il lavoro di decifrazione spetta quindi a chi osserva: sarà la sua aspettativa, il suo desiderio, la paura o un’altra emozione, la sua possibile lettura del mondo, a rispondere.
Carte ferite. Carte medicate, personale di Denis Riva
Lugo, Pescherie della Rocca – fino al 20 luglio
orari: gio-ve 16-19; sa-do 10-12 e 16-19 – ingresso gratuito