domenica
27 Luglio 2025
Intervista

L’autrice: «Scrivo in prima persona perché sbaglio e inciampo come i miei personaggi»

La ravennate d’adozione Linda Traversi al terzo romanzo pubblicato da Einaudi Ragazzi in tre anni

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Linda Traversi è nata a Cecina nel 1977, in provincia di Livorno, ma si sente ormai «ravennate di adozione». Dopo una laurea in Interpreti e traduttori e un lavoro come sottotitolatrice a Roma, nel 2018 pubblica il suo primo romanzo Esco un Attimo, dopo essersi classificata seconda al Premio Letterario Città di Castello. Dal 2022 a oggi pubblica altre tre storie con Einaudi Ragazzi: La panchina delle cose difficili (2022). Il riparatore di sogni (2024) e la più recente Bianca è cambiata! (2025), presentata con un aperitivo all’azienda agricola Babini di Camerlona il 25 luglio.

La carriera di scrittrice di Traversi è nata quasi per caso, tra pagine di diario e manoscritti conservati nel pc: «Mia madre è americana, mio padre italiano: sono cresciuta con due sistemi linguistici in testa, spesso in conflitto tra loro – racconta –. Ho provato a conciliarli attraverso l’università, ma non ci sono riuscita. Questo dualismo mi ha resa molto attenta al modo in cui ci si esprime, sia nel parlato che nello scritto, fino a quando mi sono detta che forse avevo anche io una storia da raccontare, e mi sono buttata».

Cosa significa per lei scrivere per ragazzi?
«Non è stata una scelta consapevole. Ho scritto il primo libro senza agenzia né editore, e non sapevo che se il tuo protagonista ha tredici anni, automaticamente il pubblico di riferimento diventa quello. Quando ho partecipato al mio primo incontro nelle scuole, però, sono rimasta meravigliata e ho capito subito di essere nel posto giusto. Non è stata una scelta a tavolino, ma qualcosa che mi appartiene. Ad esempio, scrivo sempre in prima persona perché mi fa sentire
sullo stesso piano del mio personaggio: non sono un narratore onnisciente, anzi, faccio errori di valutazione come i miei protagonisti, e ogni volta inciampo, sbaglio e cresco con loro».

L’autore di libri per ragazzi ha una responsabilità particolare?
«Personalmente, non credo di voler trasmettere un messaggio preciso nei miei libri. Vorrei solo che chi legge le mie storie smettesse di sentirsi “sbagliato”, o almeno capisse che in fondo lo siamo un po’ tutti».

Come sceglie gli argomenti da trattare nei suoi romanzi?
«Scrivo le cose che mi fanno venire “il mal di pancia”, quelle che mi smuovono dentro. Prendo l’ispirazione da suggestioni, racconti, esperienze vissute. Non ho mai scritto nulla di autobiografico, ma le emozioni che attraversano i miei libri sono le stesse che ho provato io, magari in contesti diversi. Cerco principalmente una relazione con gli altri: c’è chi mi ha detto che leggendo un mio libro si è riconnesso con il proprio io di tredici anni, o ha ritrovato parti di sé che aveva lasciato indietro. Questo per me è impagabile».

Non sono solo libri per ragazzi quindi.
«Direi di no, credo che i problemi di un adolescente non siano poi così diversi da quelli degli adulti. Prendiamo Bianca, la protagonista del mio ultimo racconto: si sente un disastro, teme i cambiamenti. Dopo il divorzio dei genitori inizia
per lei una sorta di seconda vita dove cerca di essere perfetta, anche a costo di mentire, simulare nuovi comportamenti che non le appartengono e nascondere parti di sé. Solo l’amicizia con un “mostro” le farà capire che le bugie non pagano. Ma non è forse quello che facciamo anche noi adulti, tra filtri sui social e narrazioni distorte sulla nostra vita?».

Qual è l’approccio dei più giovani alla lettura oggi?
«Le ragazze forse leggono un po’ di più rispetto ai coetanei maschi, ma in generale, quando si appassionano, sono lettori straordinari. Il segreto è trovare la chiave giusta per coinvolgerli. In questo è fondamentale il lavoro degli insegnanti, che scelgono di aderire ai progetti di lettura nonostante i tanti impegni scolastici. Durante gli incontri organizziamo anche laboratori di scrittura creativa, dove i ragazzi possono inventare piccole storie. Molti di loro si entusiasmano a tal punto da scrivermi via mail per portarle avanti insieme. Sono un pubblico meraviglioso, capace di affezionarsi sia alla storia che a chi la scrive: si arrabbiano se le cose non vanno come sperato, cercano sempre una narrazione che ristabilisca la giustizia nel mondo. Negli incontri provo a far passare il messaggio che per scrivere servono solo disciplina, dedizione e voglia di mettersi in gioco».

La panchina delle cose difficili, è stato tradotto anche in ucraino. Cosa ha significato questo traguardo?
«È stata un’avventura meravigliosa, che mi ha permesso di stringere rapporti profondi sia con l’editor che con l’illustratrice. Se penso a quello che stanno vivendo in Ucraina in questo momento, se anche solo per una settimana ho distolto la mente dei bambini dall’orrore che li circonda mi sembra un piccolo miracolo».

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