La cordata Zangaglia-Monaco farà ricorso al Tar per l’ex Marinabay
«La cauzione dieci volte superiore dimostra la nostra buona fede»
«Il progetto presentato al Comune di Ravenna – si legge in una nota scritta diffusa nella tarda serata di ieri dopo la comunicazione dell’esclusione resa nota da Palazzo Merlato – proponeva una importantissima riqualificazione dell’area con progetti per il turismo, lo svago, la ristorazione e lo sviluppo delle attività sportive tipiche della spiaggia». A ridosso dell’aggiudicazione provvisoria infatti gli imprenditori avevano già dato una bozza di come immaginavano il futuro Marinabay che avrebbe cambiato molto rispetto al passato a partire proprio dal nome. Sarebbe dovuto essere un investimento di alcune centinaia di migliaia di euro.
Poi le verifiche degli uffici comunali per arrivare all’assegnazione definitiva hanno fatto emergere la mancanza del Durc, documento unico di regolarità contributiva, per la società di Monaco a seguito di una omissione nel pagamento di contributi Inail: «La mancanza è attribuibile a un errore di uno studio commerciale ed è stata prontamente regolarizzata non appena avuta la contezza, ben prima dell’assegnazione alle predette società della concessione demaniale marittima».
Zangaglia e Monaco hanno reagito con «sorpresa e costernazione» di fronte alla comunicazione dell’esclusione. Che spiana la strada ai secondi classificati: «Una poco riconoscibile società bergamasca mentre Bbk e Il Piccolo Mondo sono certe che solo un gruppo di entusiasti imprenditori locali possa intervenire al meglio, interpretando desideri e aspirazioni romagnole nel solco della tradizione balneare della località ravennate e dei desiderata dei suoi assidui frequentatori».
Le vicende del Marinabay quindi continuano a occupare le pagine della cronaca e il momento della riapertura si allontana. Lo stabilimento è chiuso da settembre del 2013 quando le autorità misero i sigili per occupazione abusiva di suolo demaniale emersa per la mancata richiesta di autorizzazione nel subentro di nuovi gestori. Quella vicenda scoperchiò anche un debito di circa 300mila euro verso lo Stato per canoni di concessione demaniale non pagati da una decina di anni.