«Troppa speculazione immobiliare» Cgil e l’edilizia in crisi: «Una ecatombe»

Il responsabile del sindacato di categoria: «Settore da reinventare
verso le ristrutturazioni. E la politica locale poteva fare di più»

«Veniamo da una ecatombe». Dice proprio così, per essere chiaro quando deve descrivere l’ultimo periodo vissuto dall’edilizia in provincia di Ravenna: Davide Conti è il responsabile della Fillea-Cgil, il sindacato di categoria che tutela i lavoratori del settore costruzioni. Con lui guardiamo al panorama ravennate.

Siamo ancora in piena crisi?
«Dal 2007 le imprese e i posti di lavoro si sono dimezzati. Oggi da un anno all’altro c’è una certa stabilità ma una stabilita sui livelli più bassi che si ricordino da molto tempo. Con questa situazione è difficile essere ottimisti per il futuro».

Ci sono stati errori che le aziende avrebbero potuto evitare avendo avuto più lungimiranza?
«Parlare col senno di poi è sempre facile e le previsioni delle crisi non sono mai semplici ma forse a un certo punto bisognava rendersi conto che non poteva continuare per sempre la corsa a costruire nuovi progetti. Nella mentalità italiana la casa era un bene rifugio da comprare come capitale e si è continuato a fare palazzine e villette come se non ci fossero già i segnali di un mercato saturo. Così sulle spalle di molte aziende è rimasto tutto l’invenduto delle speculazioni immobiliari».

Cosa avrebbe potuto tamponare la crisi?
«Il settore dell’edilizia è cambiato: non si costruisce più nuovi immobili ma si va avanti con ristrutturazioni e piccoli lavori. Questa doveva essere la mossa da fare in anticipo per pianificare una nuova edilizia capace di andare avanti in un contesto dove grandi appalti pubblici non ce ne sono più».

E l’occupazione ne ha risentito.
«Non solo in termini numerici ma anche qualitativi. Si è passati sempre più da forme di lavoro dipendente a forme di lavoro autonomo che in realtà sono finte autonomie ma si tratta di dipendenti spinti a prendere la partita Iva. In teora un artigiano avrebbe dei costi più alti di un dipendente ma il dipendente ha dei minimi garantiti di retribuzione mentre con l’artigiano si può tirare sul prezzo e si finisce a sfiorare lo sfruttamento».

Cosa può dare una boccata d’ossigeno?
«Bisognerebbe partire dallo sblocco delle politiche di austerità degli enti locali per rilanciare l’iniziativa pubblica, non tanto per le grandi opere pubbliche ma anche semplicemente quelle ordinarie. Poi in secondo luogo quello di cui parlavo prima: una politica di ristrutturazione e riqualificazione sia del residenziale che del pubblico migliorando i parametri ambientali ed energetici. Dovrebbe muoversi per primo lo Stato sui propri beni e poi incentivare il privato a fare altrettanto».

Nel periodo di crisi la forma cooperativa ha facilitato la tenuta?
«Il contrario. Per come si è presentata questa crisi le coop hanno avuto difficoltà maggiori perché avevano un grupo di dipendenti fissi, e di fronte al calo di commesse hanno avuto maggiore difficoltà ad ammortizzare».

I sindacati che parte possono fare ora?
«Servirebbero politiche diverse per cambiare il sistema di ammortizzatori sociali che sono stati ridotti anche con l’ultima riforma del Jobs Act. Cassa integrazione straordinaria e in deroga hanno durate minori ora e viene pagata con sei o sette mesi di ritardo, i contratti di solidarietà sono diventati più onerosi per i lavoratori. I sindacati possono continuare a tenera alta l’attenzione su questi aspetti».

E la politica, anche quella locale, si è dimostrata attenta?
«Se prendiamo come esempio gli ultimi due casi più noti, Iter e Acmar, ho visto una certa differenza. Nel primo caso ho notato molta attenzione con l’istituzione di un tavolo regionale e un confronto provinciale. Mentre nel secondo caso, anche se siamo ancora in una fase più iniziale, vedo poca attenzione dalla politica. Mi sono chiesto i motivi e non mi sono saputo dare una risposta. Diciamo che l’azienda ha tutta la volontà di tenere basso il clamore e forse ha la capacità di influire sulla politica, che non gli sta dando il dovuto risalto».

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