Il contadino 2.0: vanga e Facebook «Dobbiamo inventarci di tutto»

In società con un’altra persona, il 39enne gestisce un’impresa biologica: «Passo ore in una serra, non userò mai prodotti chimici»  

Anche il contadino deve sapere usare Facebook. «È la forma moderna del passaparola, ti fa conoscere a nuovi clienti con il vantaggio che non sei solo in balia di chi parla di te ma vengono diffusi dei messaggi che tu hai pensato». Christian Grassi ha 39 anni ed è un contadino che usa i social network. La pagina Fb dell’azienda agricola biologica Mater Naturae di Borgo Montone ha un migliaio di fan: «Bisogna inventarsi di tutto per stare sul mercato».

Grassi è in agricoltura da una ventina d’anni: «Mia nonna aveva la terra e mi ha trasmesso la passione, dopo il diploma in agraria ho fatto il libero professionista fino a quando nel 2008 mi sono messo in proprio con una socia». Ed è nata Mater Natura: all’inizio faceva tre prodotti e oggi sessanta. L’azienda va avanti con la forza lavoro di due persone e mezzo e Grassi la definisce un insieme di avanguardia e ritorno al passato: «Facciamo ricerca e sperimentazione sulle nostre spalle, facciamo marketing inventandoci tutto noi ma al tempo stesso adottiamo un metodo biologico molto spinto che richiede anche l’adozione di pratiche antiche come la cenere e la birra per difendersi dalle lumache». Una scelta spontanea per i due imprenditori: «Non potremmo pensare di usare prodotti chimici. Io per primo sto dentro una serra per ore al giorno e tiro su i miei due figli con i nostri prodotti». Molto tradizionale anche il modello di business: «Gli investimenti si fanno solo se ci sono soldi per coprire la spesa, non facciamo mutui o chiediamo contributi. È il nostro modo di concepire l’impresa». A monte di tutto c’è tanta fatica. Basta un calcolo: «Quanto costa un caffè? Un euro o poco più. Per pagarmi un caffè al bar io devo vendere 3-4 kg di pesche che arrivano solo se tre anni prima hai messo le piante e le hai curate…».

La giornata tipo di Grassi comincia sulle 7 con la raccolta dei prodotti di stagione arrivati a maturazione, poi alle 12 vengono confezionate le cassettine da consegnare a domicilio e parte il giro con il furgone, nel pomeriggio i lavori di campagna necessari alla produttività e poi alle 18 il secondo giro di consegne casa per casa. In totale circa duecento famiglie che ricevono una consegna a settimana. Cosa? Lo decide madre natura: «Raccogliamo quello che c’è di pronto e poi dividiamo per le famiglie del giorno. Io cerco di ruotare tenendo conto di eventuali intolleranze o di particolari esigenze se qualcuno ha una cena o la curiosità di riavere un certo prodotto». Perché anche qui sta il modo di concepire l’impresa agricola in chiave moderna: «La consegna a domicilio crea un rapporto umano, i clienti mi chiamano per un consiglio su come consumare un ortaggio o magari per avere una piantina di melone da mettere in giardino».

Insomma, il leti motiv è sempre e comunque inventarsi qualcosa di nuovo o diverso: «Non hai alternative. O sei un’azienda di grandi dimensioni e quindi accedi a contributi e puoi sfruttare economie di scala riuscendo a fare margine anche in crisi oppure sei un’azienda medio-piccola e per stare sul mercato oggi servono soluzioni alternative». Ecco perché la produzione punta anche su prodotti esclusivi: dalla patata magenta alla vecchia varietà di aglio più digeribile di quello classico. La parolina magica a cui si aggrapparsi è bio: «C’è una componente di moda ma una grossa fetta di chi lo approccia lo fa per una sensibilità, per una propria coscienza, per motivi ambientali o salutistici».

Anche il biologico però non se la passa troppo bene: «Oggi sta soffrendo di iper burocratizzazione e disincentiva le aziende piccole. Poi ci sono le pressioni di patologie e insetti di provenienza estera, prevalentemente orientale». Che possono far saltare tutto. Gli esempi non mancano: «Combatto da un mese contro la Suzuki, una larva di una mosca cinese: non c’è alcuna difesa. Stessa cosa con una cimice orientale di cui pare abbiamo catturato un esemplare a Lugo. Le teorie del bio prevedono di non eliminare una malattia ma conviverci ma puoi farlo solo se hai un ambiente che può produrre antagonisti, altrimenti non ci sono riequilibri. Oggi il problema è la frequenza con cui arrivano le incursioni di nuovi nemici. In passato capitava ogni due-tre anni, oggi capita anche più volte all’anno».

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