Originario di Alfonsine, Marco Altini negli ultimi undici anni ha vissuto tra California e Olanda e ha sviluppato un sistema che usa la fotocamera del telefonino come stetoscopio digitale: L’Università degli Studi di Milano sta usando l’applicazione per uno studio sugli effetti psicologici del lockdown
Lo scienziato alfonsinese si occupa di tecnologia per misurare lo stress fisiologico connesso alla variabilità cardiaca, principalmente in ambito sportivo: strumenti che danno la possibilità di apportare piccoli accorgimenti nell’allenamento e nello stile di vita dell’atleta per gestire al meglio lo stimolo dell’allenamento e migliorare la prestazione fisica. Ma il principio è valido anche per chi non fa sport: monitorando come cambia la fisiologia in base a stimoli e forme di stress esterne, si possono bilanciare le cose per migliorare la salute. «La misurazione della variabilità cardiaca (nota in ambiente medico con la sigla HRV dall’inglese heart rate variability, ndr) equivale a misurare lo stress fisiologico a prescindere dalla fonte. In questa situazione particolare in cui le persone sono in casa si può dedurre che le fonti esterne dipendano dalle condizioni di isolamento per la pandemia».
Con la app Camera Heart Rate Variability il telefonino diventa come uno stetoscopio digitale: la fotocamera misura il battito illuminando il dito con il flash e archivia i dati solo sull’apparecchio senza inviarli a server centrali. «È una tecnologia utile per una ricerca di questo tipo perché permette ai soggetti di prendere le misurazioni nella propria abitazione senza dover andare in laboratorio come altrimenti si dovrebbe fare per la validità della ricerca». La tecnologia è la stessa utilizzata in HRV4Training, quindi la comodità di utilizzo non sacrifica la precisione della misura.
Altini è in contatto anche con l’istituto Koch di Berlino, un’organizzazione responsabile per il controllo e la prevenzione delle malattie infettive in Germania, dove stanno elaborando una applicazione con un approccio più sperimentale a fini diagnostici. E anche in questo caso la tecnologia sviluppata dal ravennate è una fetta del lavoro: «L’esperienza del passato ci ha mostrato che in molti casi chi misurava con costanza la variabilità cardiaca notava un suo abbassamento uno o due giorni prima che si presentassero i primi sintomi di una malattia infettiva, magari anche una semplice influenza. Un abbassamento della variabilità cardiaca è un segnale molto chiaro che il corpo è sotto stress. Partendo da qui, l’istituto sta raccogliendo dati da volontari a cui garantisce la privacy e l’anonimato, per arrivare a sviluppare uno strumento a disposizione del cittadino che possa avere un margine di preavviso ulteriori sul possibile contagio». Mentre il primo studio con le Università di Roma e Milano utilizza la variabilità cardiaca nel contesto dello stress psicologico, per capire l’effetto del lockdown sul nostro sistema nervoso e quindi sulla nostra salute, questo secondo studio va ad investigare un aspetto più diagnostico: «In entrambi i casi, andiamo ad analizzare come il corpo sta rispondendo alle forme di stress a cui è sottoposto, sia fisiche che mentali, con uno strumento che viene utilizzato individualmente. Questo è tutto sommato l’obiettivo del nostro lavoro, fornire alle persone uno strumento facile da utilizzare che possa aiutarle a gestire al meglio lo stress, che nel bene o nel male, fa parte della vita di tutti».