La 30enne: «Meglio disoccupata piuttosto che una stagione estiva a 3 euro l’ora»

Dal fast food alla lavanderia, le esperienze estive di una giovane cervese che dal 2019 ha scelto di non lavorare: «Uso il sussidio Covid e mi aiutano i genitori, ma ho dovuto rinunciare alla patente e lasciare l’università»

Non è raro per un giovane nato in riviera romagnola svolgere come primo impiego un lavoro stagionale estivo. E c’è chi, dopo l’ennesima proposta di un posto tra straordinari non concordati e pagamenti irregolari, sceglie di restare disoccupato. È la storia di una trentenne cervese che preferisce restare anonima.

«La mia “prima stagione” nel 2017 è stata in un fast food. Mi sembrava una valida soluzione per contribuire a pagare la retta universitaria e realizzare il sogno di laurearmi in fotografia. Durante il colloquio di stipendio non si era parlato. Complice l’inesperienza, ho deciso di fidarmi. Ben presto, però, le 4 ore concordate si sono trasformate in 6 o più, soprattutto nei fine settimana, e ad agosto mi sono ritrovata a coprire turni superiori alle 10 ore, non tutte retribuite. Ho fatto i conti e la paga oraria reale era inferiore ai 3 euro».

L’estate successiva stava passando tra una settimana di prova e l’altra, tra bar tabacchi, chioschi di piadina e animazione turistica. Poi è capitato uno studio di fotografia che cercava un photo editor: «Mi è sembrata un’occasione per mettere a frutto i miei studi. Mese dopo mese, però, mi rendevo sempre più conto che quel lavoro non aveva nulla in comune con il tipo di fotografia che mi insegnavano all’università. E anche in questo caso le ore continuavano ad aumentare e la paga restava bassissima».

L’ultimo contratto stagionale è stato firmato nel 2019 con una lavanderia industriale della zona: «Era una sorta di fabbrica: 8 ore in piedi e pause cronometrate da 10 minuti. Nonostante la fatica sarei rimasta. Con l’avvento del Covid però il personale è stato ridotto. Il mancato rinnovo del lavoro mi ha permesso di usufruire dell’indennità Covid per i lavoratori stagionali assegnata dal governo Conte. Ho deciso che non avrei più fatto una “stagione”. Ho trascorso gli anni successivi dilazionando le poche migliaia di euro ricevute attraverso il sussidio e gli aiuti dei miei genitori con cui vivo». Una scelta che nel tempo ha comportato diverse rinunce, nel tempo libero e nella quotidianità, ma sulla quale ancora oggi c’è la ferma decisione di non tornare indietro: «La mancanza di un’entrata fissa mi ha costretta a posticipare il conseguimento della patente e ad abbandonare l’università, ma ho capito che nel settore l’esperienza conta più di un pezzo di carta. Oggi cerco di affermarmi come fotografa in modo indipendente, la mia prima mostra personale inaugurerà a breve».

Il confronto con i coetanei non manca: «Vedo ex compagni di scuola con una casa e una famiglia. Con un lavoro stagionale non potrei permettermi nessuna delle due cose. Nonostante le brutte esperienze non demonizzo questo tipo di lavoro, credo sia molto formativo per un giovane, una sorta di “leva militare” che insegna il valore del tempo e del denaro, ma che non è sostenibile nel lungo termine».

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