«Chiediamo la sospensione immediata dell’accordo e la riapertura di un nuovo tavolo di confronto. Stiamo valutando un intervento legale con il tribunale d’urgenza». Le associazioni Sunia (Cgil), Sicet (Cisl) e Uniat (Uil) si schierano contro il rinnovo dell’accordo territoriale per gli affitti a canone calmierato, sottoscritto nelle scorse settimane dalle associazioni dei proprietari di Ravenna Appe Confedelizia, Asppi, Uppi, Appc e Confabitare e da quelle di inquilini Assocasa e FederCasa Confsal.
L’accordo riguarda i contratti a canone concordato in formula 3+2, che garantiscono ai proprietari sconti fiscali e imposte ridotte a fronte di importi calmierati rispetto al mercato libero. L’ultimo accordo risaliva al 2018 e, secondo le associazioni dei proprietari «Risultava totalmente inadeguato ai costi della vita attuali, non tenendo conto di caro prezzi e inflazione che hanno colpito Ravenna più duramente che altre città in Italia». Anche secondo le associazioni sindacali gli accordi risultavano obsoleti, ma l’obiettivo era quello «di un patto che guardasse all’interesse di ambo le parti, puntando a scoutistiche sugli affitti a lungo termine, in modo da ridurre l’emergenza sfratti». Sono stati sei gli incontri negli ultimi due anni, due quelli istituzionali, ma il patto è stato firmato prima dell’ultima seduta fissata, senza trovare un’accordo condiviso con tutte le parti interessate. L’accusa di Sunia, Sicet e Uniat quindi è quella di «un’azione piratesca compiuta dalle associazioni di proprietari, mossa nel solo interesse dei locatori, che non lascia spazio alla trattativa e propone aumenti ingiustificati, tradendo al tempo stesso la fiducia delle istituzioni e dell’amministrazione». Solo pochi giorni fa infatti, l’appello firmato da Palli e Barattoni per la riapertura del tavolo di confronto. Nella stessa nota, l’annuncio da parte del comune di riservarsi la possibilità ritrattare su alcune scontistiche relative all’Imu se gli accordi non saranno modificati.
Il nuovo documento prevede un aumento tabellare dei canoni massimi pari al 10 percento, a cui si sommerebbero però quelli che i sindacati definiscono «aumenti nascosti»: ad esempio, è stato rimossa la scontistica del 4 percento sulle abitazioni di frazione e forese, che subiranno quindi un aumento del 14 percento. A questo si aggiunge il nuovo conteggio della metratura, che passa da misura “calpestatile” a misura “catastale”, includendo quindi l’ingombro di muri e pareti. Sono previste inoltre maggiorazioni in base alla certificazione energetica e ulteriori aumenti legati a parametri qualitativi che portano alla definizione della classe energetica, come pannelli solari, infissi o doppi vetri.
Infine è stato aumentato il numero dei parametri qualitativi per classificare gli immobili nelle diverse fasce di prezzo (bassa-media-alta) inserendo, sempre secondo i sindacati «caratteristiche facilmente raggiungibili anziché eliminare quelle oramai superate»: i nuovi accordi prevedono punti extra per case dotate di inferiate, per appartamenti in complessi con meno di otto unità abitative (prima erano 4), e la scontistica per gli immobili non ancora dotati di lavastoviglie scende dal -10 percento al -5 percento. «Il massimo si raggiunge quando si prevede come elemento di qualità “l’assenza di infiltrazioni o intonaci labenti o pavimenti e/o sanitari dissestati” – rincara Maria Teresa Licata di Uniat -. Queste nuove modalità di classificazione degli immobili comporterà il non utilizzo della fascia bassa e uno spostamento massiccio dalla fascia media a quella alta comportando un aumento della base di calcolo dei canoni di oltre il 20 percento». Secondo l’osservatorio condotto da Sunia, nei casi peggiori gli aumenti potrebbero sfiorare il 70 percento: «Abbiamo calcolato gli aumenti sia considerando la metratura calpestatile che quella catastale – spiega Alberto Mazzoni di Sunia -. Prendendo il valore per un contratto di fascia media, considerando la superficie il calpestabile, si sale ad un massimo di 619 euro, con un un aumento del 25%. Se prendiamo invece la metratura catastale, si sale da 72.5 a 107 metri, arrivando a un massimo di 833 euro, ovvero un aumento di 338 euro pari al 68 percento».
Secondo le proiezioni dell’osservatorio, la crescita media si attesterà comunque tra il 14 e il 35 percento, colpendo soprattutto le fasce popolari. «Questo porterà all’esasperazione dei cittadini – commentano i sindacati – con aumento di sfratti, morosità e possibili danneggiamenti agli immobili». Infine, il dito viene puntato su alcune clausole che potrebbero invalidare l’accordo dal punto di vista turistico, come l’inserimento dei contratti turistici e di quelli universitari (con durata di locazione inferiore ai 6 mesi stabiliti) negli accordi territoriali e l’aggiunta di vani e accessori non censiti nelle planimetrie catastali (e quindi abusivi) con un aggiunta del 20 percento.
«Il nuovo contratto prevede inoltre un aumento automatico sul tabellare pari al 50 percento dell’inflazione registrata nel triennio precedente in caso di mancato rinnovo degli accordi – concludono le associazioni di inquilini -. questo ci taglia automaticamente fuori dalle trattative, perché con condizioni tanto sbilanciate e un aumento fisso e garantito, le associazioni di proprietari non avranno interessi nel rinnovare il contratto». Luca Giacobbe di Sicet commenta: «Siamo particolarmente delusi da quelle associazioni e da quelle persone che fanno parte del territorio. Dovrebbero conoscerlo, comprese le sue criticità e le difficoltà degli ultimi anni, e tutelarlo. I nuovi accordi concedono ai locatori aumenti pari a quelli del mercato libero, mantenendo al tempo stesso le agevolazioni fiscali. È socialmente inaccettabile e crediamo che questo avrà notevoli ripercussioni anche sull’edilizia residenziale sociale. È nostra responsabilità, tutelare le 8000 famiglie di inquilini che rappresentiamo, non lasciandoli in balia di questo accordo a dir poco iniquo».