Parafrasando gli Offlaga Disco Pax, il mondo della birra è come l’universo, non solo infinito ma in espansione, con i birrifici artigianali e i cosiddetti micro-birrifici che ormai da tempo stanno inondando il mercato di prodotti sempre più buoni e interessanti (per fare un esempio, nel solo 2023 sono state introdotte in Danimarca, terra di lunga tradizione birresca, oltre 2.000 nuove birre).[pro_ad_display_adzone id=”333716″]
La birra è una delle bevande alcoliche più antiche del mondo, la più consumata, e la terza bevanda più popolare dopo l’acqua e il tè. Ma andiamo con ordine e vediamo di inquadrare storicamente e materialmente la nostra amata bibita spumosa. La prima descrizione documentata di una ricetta per produrre birra risale al 4000 a.C. a opera dei Sumeri e il procedimento è simile a quello utilizzato in tutte le birrerie del mondo, anche se il luppolo è entrato nell’uso comune circa 1.000 anni fa. Dalla Mesopotamia, la birra diviene in seguito nota in Egitto, poi tra gli Etruschi, a Roma, in Grecia, quindi nei paesi nordici, dove ebbe grande fortuna, anche grazie alle perfette temperature ambientali. Nel Medioevo i primi veri esperti di tecnologia birraria furono i frati dei conventi dell’Europa centrale, soprattutto i benedettini, cui va anche il merito di aver definitivamente introdotto il luppolo come amaricante e antisettico. La storia della birra italiana moderna è invece fatta iniziare nel 1789, con il privilegio concesso dagli Stati Sardi a Baldassarre Ketter di produrne a Nizza Monferrato, in una fabbrica che oggi non esiste più. In Italia le birrerie ultracentenarie sono attualmente sette e tra le più antiche si possono ricordare la Peroni e la Menabrea, nate nel 1846.
Ma come si fa la birra? A prescindere dai vari stili, è una bevanda che deriva dalla fermentazione alcolica di un mosto ottenuto miscelando acqua, malto d’orzo o di frumento, e luppolo. La fermentazione viene attuata da particolari lieviti, appartenenti per lo più al genere Saccharomyces, che utilizzano gli zuccheri semplici presenti nel mosto e derivanti dal malto, per trasformarli in etanolo, ovvero alcool e anidride carbonica. L’acqua è l’ingrediente principale della birra e rappresenta il 93% del suo peso. Sebbene l’acqua di per sé sia, idealmente, insapore, il suo livello di minerali disciolti, in particolare ioni bicarbonato, influenza il gusto finale della birra. Grazie alle proprietà minerali dell’acqua di ogni regione, alcune aree specifiche erano originariamente le uniche produttrici di determinati tipi di birra, ciascuno identificabile con caratteristiche precipue. Facendo qualche esempio, secondo la geologia regionale l’acqua dura di Dublino è adatta alla produzione di stout, come la Guinness, mentre l’acqua dolce della regione di Plzen, nella Repubblica Ceca, è ideale per la produzione di Pilsner (birra chiara), come la Pilsner Urquell (ma sulle varie tipologie torneremo più avanti).
La definizione di birra è molto generica e racchiude in sé vari tipi, che si differenziano per la tipologia di fermentazione che il mosto subisce. All’interno dei vari tipi di birra, è possibile individuare invece delle sottocategorie, dette stili, a seconda della zona geografica di produzione, del malto o del lievito utilizzato o di altre caratteristiche peculiari che il prodotto possiede. La gradazione alcolica dipende invece dal lievito utilizzato, da quanto la fermentazione viene prolungata nel tempo e da quanti zuccheri sono presenti nel malto o resi disponibili dopo la bollitura.
Esistono tre tipi principali di birra, che si differenziano sulla base della temperatura di fermentazione e del comportamento dei lieviti che effettuano la fermentazione. In particolare, ci sono le birre a bassa fermentazione (il 90% della produzione mondiale), tra le quali le più conosciute sono le Lager (tanto che lager, termine tedesco che significa “deposito”, è ormai sinonimo di birra a bassa fermentazione), le birre ad alta fermentazione, dette anche Ales, e quelle a fermentazione spontanea, chiamate Lambic. Oggi parleremo un po’ di Lager e bassa fermentazione. Quindi birre prodotte a temperature comprese tra i 5 e i 10°C, generalmente utilizzando lieviti della specie Saccharomyces pastorianus. Durante la fermentazione i lieviti si raggruppano e si depositano sul fondo – da qui il nome “bassa fermentazione” – e sono in grado di effettuare la fermentazione anche a temperature basse, seppur non con la stessa efficienza. Da ciò deriva che in genere le Lager hanno una gradazione alcolica medio-bassa, 3.5-5%, e un profilo aromatico piuttosto delicato, dato essenzialmente dal malto e dal luppolo utilizzati. Sebbene le Lager più famose e vendute siano bionde (Pale Lager), esistono in commercio molte lager scure (dark Lager).
Tra le Pale Lager più conosciute e consumate al mondo ci sono le Pilsner (o Pils), originarie della Boemia, capostipiti delle moderne birre chiare, dall’aroma ben bilanciato e con una schiuma corposa (la più famosa è la già citata Urquell, ma sono Pils anche la Heineken e la Beck’s, per dire); le Kellerbier, bionde non filtrate, con schiuma poco persistente (tra le più note, la Hacker-Pschorr e la Löwenbräu), e le Bock (nate nella città tedesca di Einbeck), bionde dal gusto maltato e alta gradazione alcolica (6-7%), ben rappresentate dalla Altenmünster Maibock e dalla Kulmbacher Eisbock (ma ce ne sarebbero davvero tantissime altre da menzionare).
Tra le Lager scure troviamo invece le Rauchbier, dalla città di Bamberg, prodotte con malti essiccati a fuoco diretto su legno di faggio, che conferiscono un delicato aroma affumicato; le Dunkel, birre scure tedesche tipiche di Sassonia e Bavaria, che al gusto si caratterizzano per note dolciastre e maltate, perfette per mascherare l’amaro del luppolo; e le Schwarz, molto scure e decisamente amare, diffuse quasi solo in Germania, una versione amara della birra scura di Monaco.
In merito al servizio di Lager e Pilsner, ci sono due scuole di pensiero. La prima sostiene che si inizia a versare lentamente, a bicchiere inclinato, sollevando pian piano il bicchiere in posizione verticale, aumentando via via la velocità di mescita. Si versa poi l’ultima quantità di birra a bicchiere verticale, sulla schiuma già formata, per regolare la giusta quantità di schiuma e ottenere una cupola (o corona) che supera il bordo del bicchiere. La seconda scuola di pensiero prevede invece di eliminare la schiuma con un’apposita spatola. In ogni caso la schiuma deve essere abbondante (3-4 dita) e vaporosa, deve traboccare dal borso del bicchiere per le Pils e sviluppare l’aroma del luppolo, mentre è più limitata per le Lager.
Perché si chiama così: l’origine del nome
Secondo alcuni studiosi, il nome birra deriva dall’indogermanico bh(e)reu o bh(e)ru, che significa ribollire, e ricorda la cottura del mosto e la fermentazione, quando le bollicine di anidride carbonica salgono in superficie e ne rimescolano il contenuto. Da quel termine arriva il tedesco bier (da cui arriva la parola italiana), che ha rimpiazzato l’antico cervogia, che indicava le birre fatte senza luppolo e che ha comunque portato allo spagnolo cerveza. Altri pensano che la parola sia un prestito del VI secolo dal latino volgare biber (bibita, bevanda), oppure derivi direttamente dal protogermanico beuwoz, da beuwo, che signifca orzo. In inglese si usa, oltre a beer, un altro termine per indicare la birra, ale.
Selva di Bajön, Pils a Km 0 che non teme rivali
Un ottimo esempio di Pils è la Selva del Birrificio Bajön di Porto Corsini. Siamo in presenza di una birra chiara a bassa fermentazione dunque, ispirata alle più luppolate Pils nostrane. Rispetto alle classiche tedesche, qui i malti conferiscono sentori dolci di miele di acacia e cereali. Birra piuttosto amara, secca, e abbondantemente luppolata, con evidenti note speziate erbacee e floreali. Ricetta ottimamente equilibrata, grazie anche a una lunga maturazione a freddo, che le dona un grande carattere.