lunedì
13 Ottobre 2025
Provato per voi

Nel Salone dei Mosaici un ristorante di qualità tra tradizioni locali e curiose variazioni

Lo chef Luca Magnani propone un menù limitato con materie prime fresche e di ottima scelta in un locale grandioso, ma che potrebbe mettere soggezione. Servizio cortese e competente

Condividi

Chissà se è la volta buona, col “nuovo” Valentino, per dare un’identità culinaria e conviviale di successo al Salone dei Mosaici che si affaccia su piazza Kennedy, a Ravenna. Da diversi anni lo spazio si è presentato al pubblico come sala da tè, bistrò con musica dal vivo, american bar, ristorante di pesce e gourmet, e così via. Esperienze che non sono state apprezzate un granché. Per chi non l’avesse mai frequentato va detto però che si tratta un ambiente singolare, grandioso (che potrebbe mettere soggezione), di fatto un monumento, arduo da riutilizzare come locale qualsiasi. Realizzato dal regime fascista verso la fine degli anni Trenta del ‘900 come Casa del Mutilato di Guerra, l’edificio è una delle poche testimonianze architettoniche “istituzionali” integralmente sopravvissute alle distruzioni della seconda guerra mondiale a Ravenna. La parte più pregevole del palazzo è, al primo piano, il salone d’onore, cosiddetto “dei Mosaici”, con enormi e artisticamente pregevoli pannelli a mosaico, celebrativi delle imprese di Mussolini secondo la propaganda dell’epoca. Scampati alla distruzione dell’iconografia fascista da parte dei Comitati di Liberazione (i mosaici furono “pudicamente” ricoperti da pannelli di legno) il salone fu utilizzato nel dopoguerra come sala da ballo. Poi l’oblio, fino a quando le opere musive furono riscoperte e storicamente rivalutate all’inizio degli anni ‘90. Dopo varie vicissitudini immobiliari e funzionali, nel 2018 se ne progetta la conversione a spazio culturale, di intrattenimento e ristoro, grazie all’imprenditore Maurizio Bucci. Oggi l’impegnativa ambientazione sembra aver trovato un suo equilibrio estetico e funzionale per il comfort degli avventori. Il design di arredi e illuminazione che sottolineano arte e architettura dello spazio, risultano più piacevoli e pratici – ad esempio si vede bene quel che è in tavola e che si mangia, pur restando l’atmosfera d’antan.

Da un anno il locale è gestito dallo chef Luca Magnani (già nello staff dello stellato Faccani) con la moglie Livia Dragomir in sala, ad assistere i clienti e raccogliere le ordinazioni con uno staff di giovani ma premurosi camerieri. Da qualche settimana è partita poi una collaborazione con Piero Pompili, direttore del ristorante Al Cambio di Bologna.
Il menù è limitato a poche proposte ben calibrate, cinque i piatti di ogni sezione: antipasti, primi, secondi – più che altro orientate a pietanze di mare – con cinque scelte anche per i dolci. Il che fa supporre una cucina che può operare in modo puntuale e non eccede in precotti o preconfezionati.
Noi, in due, abbiamo assaggiato e in parte condiviso: Alici croccanti con una fine giardiniera in agrodolce (fatta in casa) e Canocchie al vapore e limone freschissime, accompagnate da ortaggi di stagione appena scottati. Poi in tavola, come primi, sono arrivati degli Spaghetti grano Mancini con saporose (ma non gommose) vongole di Goro e un piatto di Malfatti cotti con un sugo di canocchie. A seguire, un sapido Baccalà “alla Ravennate”, leggermente ma perfettamente fritto su di un amabile salsina di pomodoro.
Le materie prime, spesso fondate su produzioni territoriali, sono evidentemente fresche e di ottima scelta. Le porzioni sono generose, fragranti e (a seconda dei casi) tutte cucinate a puntino. Una certa cura si nota anche nella presentazione dei piatti, ben disposta (ma mai troppo arzigogolata), anche grazie a una elegante stoviglieria variegata e di design.

Screenshot 2025 10 05 Alle 11.11.39
I Malfatti

L’idea di fondo è stare nel solco della tradizione gastronomica locale (sia di terra che di mare) ma con pregevoli varianti sia negli ingredienti che nelle preparazioni. Dal menù si possono scegliere, ad esempio, anche seppioline grigliate o affettati di Mora Romagnola dei fondi Zavatta, passatelli in brodo di pesce o cappelletti su ricetta Artusiana in brodo o al ragù, galletto alla cacciatora o brodetto di pesce alla maniera di Porto Corsini…

Screenshot 2025 10 05 Alle 11.12.15
Le alici fritte

Lo stesso richiamo al gusto locale vale per i dessert (vedi la classica Zuppa Inglese di byroniana memoria o la Torta Teodora con gelato alla vaniglia): noi abbiamo preferito assaggiare un “tosto” pezzo di Latte in piedi, di casalinga memoria, e un soave fluido Gelato di cioccolato con croccantino e nocciole.
Insomma, si intravede una filosofia culinaria sia rivolta al palato “conservatore” dei ravennati, sia a quello “curioso” per il cibo romagnolo dei turisti di passaggio. In questo, il repertorio di piatti del Valentino ci azzecca, comunque elevando la qualità.
Per quando riguarda la carta dei vini, anche qui la scelta è limitata a vitigni e cantine regionali, ma adeguatamente selezionata come qualità. Noi abbiamo bevuto un piacevole Grüner Vertliner Johanna 2023, un vino altoatesino bio, fresco e brillante (anche per un’etichetta fuori dal comune della tenuta Röck della Valle Isarco). Visto che non abbiamo esagerato con le libagioni, per finire la serata ci siamo concessi anche due bicchierini “digestivi”, un Amaro Angostura e un rum Damoiseau. Prosit.
Il conto finale – considerato anche un servizio di ammirevole cortesia e competenza, ritmo e attenzione rispetto alle ordinazioni – è stato tutto compreso di 70 euro a testa. Come si dice nei casi dove l’esperienza è pregevole, ci sta!

Screenshot 2025 10 05 Alle 11.11.24

Condividi
CASA PREMIUM

Spazio agli architetti

La darsena di Ravenna protagonista alla Biennale di Venezia

Nel progetto "Italia Infinita 2075" che immagina una connessione veloce sotto l'Adriatico

Riviste Reclam

Vedi tutte le riviste ->

Chiudi