Era da tempo, come onnivoro molto curioso dei cibi del mondo, che volevo soddisfare il palato, possibilmente vicino a casa – nella Romagna di caplet e dal taiadeli – con il gusto originario e più autentico del sushi, una delle specialità in diverse varianti della tradizione gastronomica giapponese. Dopo rare occasioni in qualche grande città italiana ed europea, mi mancava proprio tale esperienza, anche pensando (male) del dilagare in provincia di tanti locali di cucina fusion cinogiapponese, spesso monotoni se non dozzinali.
La soddisfazione finalmente l’ho trovata e provata a Cervia, al Uni Japanese Restaurant, accompagnato con entusiasmo da due giovani millennial, generazionalmente aperti e abituati ai gusti esotici.
Il locale, sul lungo canale dei Magazzeni del Sale all’angolo con via Cavour, è stato aperto qualche anno fa da due appassionati ed esperti del campo della cucina nipponica – lo chef Marco Costeniero e il ristoratore Riccardo Cremonesi – che l’hanno impostato nel solco della tradizione culinaria washoku, quantomeno nella ricerca di quell’equilibrio fra alta qualità e freschezza degli ingredienti, sintonia di sapori e accurata presentazione delle pietanze. Nella guida Sushi 2026 del Gambero Rosso, appena presentata, il locale cervese ha ottenuto 3 Bacchette, massimo riconoscimento assegnato ai ristoranti di cucina giapponese in Italia, e il premio speciale per la Miglior Carta dei Vini.
Certo la reperibilità di certe materie prime ha indirizzato le creazioni gastronomiche di chef e cuochi di Uni ad alcune varianti (a cui si aggiunge qualche proposta ibrida sorprendente), ma lo spirito della tipicità giapponese è comunque rispettato, a partire dalle tecniche di preparazione, dalla stagionalità/territorialità dei prodotti (in particolare pesce e ortaggi), fino alla raffinatezza e minuziosità, anche estetica, dei piatti proposti.
L’ambiente che ci accoglie è un dehor con grandi vetrate (in estate ci sono tavoli anche all’aperto). Gli arredi e apparecchiatura sono essenziali, come un certo stile di vita giapponese: piccoli tavoli in legno chiaro, sedute comode, stoviglieria elegante e fascinosa di ceramica (fra scodelle, scodelline, tazze, piatti, piattini e vassoi di varie fogge) che esaltano i cibi. L’illuminazione è puntuale sul desco, ma ci piacerebbe leggermente più intensa. La climatizzazione è invece un po’ sottotono. La toilette si presenta impeccabile e confortevole.
Il menù di sala prevede una sequenza di proposte degustazione e una ampia serie di piatti “alla carta”, suddivisi per genere. Va segnalato che il ristorante ha anche una saletta riservata per una cena omakase (letteralmente “mi affido a te”), dedicata a sei ospiti, lungo un bancone, preparata appositamente e “in diretta” dall’estro di un cuoco.
Noi, in tre, abbiamo ordinato due menù degustazione (ognuno con 13 “piccole” portate) e una scelta di 5 piatti “alla carta”. Praticando poi diversi assaggi condivisi.
Per descrivere in dettaglio tutte queste portate (dal Sakizuke al Kobachi, dal Zensai all’Otsukuri, dai Nigiri ai Gyoza agli Uramaki, e infine le dolcezze), servirebbe un’intera pagina. Quindici limitiamo agli elementi primari e al carattere di ciò che abbiamo mangiato attraverso questa deliziosa girandola gastronomica. Ovviamente il riso e le alghe, “base” del sushi, e pesci e molluschi quali salmone, tonno, sgombro, sugarello, ricciola, gambero, polpo, cappasanta, baccalà. Ma anche l’anatra e il pregiato manzo wagyu e innumerevoli ortaggi e frutti (misticanza, melanzane, spinacini, rape, cipollotti, avocado, lamponi, melagrana…), varie spezie e aromi profumati. E vanno citate le fermentazioni e le marinature per le crudità, le duplici cotture e fritture, le consistenze, a volte croccanti, morbide o fluide, dei cibi preparati. Un felice intreccio e composizione di sapori e di colori, per la gioia del palato e pure degli occhi, che si esprime anche nella più minuscola di queste pietanze.
Il ristorante Uni propone una stupenda (anche se impegnativa sul versante dei prezzi) carta delle bevande, di alto livello con una notevole selezione di vini nazionali e internazionali. Noi abbiamo onorato l’accompagnamento del cibo con una bottiglia di Sakè da 70 cl, bevanda tipica giapponese derivata dalla fermentazione del riso, decisamente alcolica. L’etichetta scelta è Tarusake (15 gradi), leggermente più denso di un vino, profumato ma abbastanza secco seppure aromatico, questo Sakè ci è stato servito ben fresco in calice.
Assolutamente da notare, infine, la professionalità del servizio al tavolo, svolto da giovani competenti, gentili, capaci di raccontare con dovizia di particolari i piatti ordinati e rispondere alle nostre domande, guidandoci nell’intrico della terminologia culinaria giapponese. Praticamente perfetta la tempistica di arrivo delle ordinazioni, senza intoppi e lungaggini.
Sazi e appagati, non ci resta che pagare il conto: 115 euro a testa. Vista l’esperienza, sono proprio ben spesi (calcolando anche che la sola bottiglia di Sakè vale 50 euro). Insomma, vien da dire, meglio una cena squisita “fuori dal comune” che tre abbuffate in un mediocre “all you can eat”. De gustibus…




















