Si apre un nuovo capitolo per la storia del Salone dei Mosaici affacciato su piazza Kennedy. Costruito in epoca fascista come sala di rappresentanza all’interno della Casa del Mutilato, nei primi anni 40 i pavimenti in marmo e gli alti soffitti vengono impreziositi dall’affissione di cinque pannelli a mosaico, rappresentanti scene di guerra coloniale e immagini di propaganda. Sulla parete di ingresso del Salone, è possibile ritrovare anche un’effige del Duce a cavallo, sullo sfondo di una Ravenna abbozzata. Nonostante la controversia dei contenuti, l’innegabile valore storico e artistico dei mosaici ha concesso al salone una fine più clemente di quella capitata a molte altre opere del regime in città: il comitato della Liberazione infatti volle preservarli, coprendoli con dei pannelli per la realizzazione della sala da ballo “Iride”. Per rivederli, bisognerà aspettare l’inizio degli anni ’90, con la ristrutturazione di Severo Bignami e Saturno Carnoli. Da quel momento, un susseguirsi di trasformazioni ha portato il salone a vestire i panni di un’aula per convegni, una sala da tè, un bistrot con musica dal vivo, un american bar, e infine un ristorante di pesce e gourmet, senza però riuscire mai a trovare una vocazione duratura.
Dallo scorso settembre, l’imprenditore Maurizio Bucci (proprietario dell’immobile dal 2018) ha scelto di dare nuova identità al locale, oggi ristorante Valentino, collaborando con lo chef Luca Magnani, «l’anima del progetto» secondo il patron, e con il consulente Piero Pompili, celebre oste bolognese che, unendo alla qualità dei piatti una comunicazione innovativa ha portato le lasagne del suo ristorante “Al Cambio” sulle pagine del New York Times. Il compito di Pompili, in questo caso, è stato ritrovare il genius loci del Salone, riflettendo sull’austerità dell’ambiente, sul profondo legame con la storia ravennate e su quella particolare condizione di essere nascosto “sotto gli occhi di tutti”, nel cuore della città.
Oggi, quindi, le luci basse esasperano l’imponenza dei pannelli musivi, dando l’impressione di cenare all’interno non di un museo, ma di un vero e proprio monumento. Al tempo stesso, gli arredi contemporanei vengono messi in dialogo con i rivestimenti d’epoca e il menù presenta una ristretta scelta di proposte della tradizione ravennate. L’idea infatti è quella di concentrarsi non tanto sulle celebri specialità romagnole (comunque presenti in menù) ma su piatti quasi dimenticati, come il brodetto alla “porto corsinese” (da intendersi con la vecchia accezione del termine Porto Corsini, che indicava entrambe le località alle sponde del Candiano, comprendendo l’attuale Marina di Ravenna), i “malfatti” con polpa di canocchia o il latteruolo, una sorta di latte in piedi senza panna e a lentissima cottura.
«All’interno della cucina del Valentino ho cambiato la mia visione – spiega lo chef Magnani, già nello staff dello stellato Faccani -. prima mi concentravo sul cucinare al meglio la materia prima che mi arrivava: trattandola il meno possibile, lasciando prevalere il gusto dell’ingrediente. Con Piero è stato fatto un lavoro di ricerca e valorizzazione sulla cucina di Ravenna, un tesoro storico gastronomico quasi sconosciuto oltre le mura cittadine».
La storia degli ambienti va quindi di pari passo con quella presentata a nel piatto, così come la voglia di riportare alla luce un luogo dalla storia tormentata e spesso dimenticata si lega al recupero di ricette antiche. «Se la cucina di Luca non mi avesse convinto non avrei accettato l’incarico al Valentino – precisa Pompili -. lo studio del menù ci ha portati a ragionare sulla valorizzazione del legame con la città, invertendone il paradigma: quando si visita un luogo si va alla ricerca “dell’ottava meraviglia del mondo” e poi si cerca anche un ristorante interessante in zona. Noi faremo il contrario». Dall’8 novembre infatti inizieranno le riprese del nuovo progetto social che racconterà con una serie di brevi video la città di Ravenna, dai monumenti patrimonio Unesco agli angoli segreti, spesso invisibili anche agli occhi degli stessi ravennati. I volti della narrazione saranno gli stessi del Valentino: Magnani, Bucci, Pompili e la maître Livia Dragomir, responsabile dell’accoglienza del locale. Non è più la “guida” (tradizionale o social) quindi a illustrare la città segnalando eventualmente locali del territorio, ma lo stesso ristorante a raccontare e promuovere le unicità del luogo tra turisti e curiosi.
Infine, Valentino vuole farsi portavoce di un’idea di internazionalizzazione della tradizione ravennate: dalla proposta di accompagnare “il viaggio” dei mosaici ravennati nelle ambasciate estere con cene a tema, alla candidatura delle sfogline come patrimonio Unesco (iniziativa già sperimentata a Bologna, decaduta però in favore dell’iscrizione al regista degli storici portici) e, infine, all’ospitata di diversi chef di fama nazionale e europea: «Per far conoscere nuove eccellenze ai ravennati, ma anche per far conoscere la città di Ravenna nel mondo» conclude Bucci.



