Un viaggio tra i temi della trentaseiesima edizione, da Don Chisciotte alla musica palestinese, passando per i grandi anniversari della musica sacra e i protagonisti della scena contemporanea

Come ogni anno, puntuale ad annunciare l’inizio del viaggio attraverso musica, teatro, danza che animerà la città e il territorio nei prossimi mesi, si presenta al pubblico il libro-catalogo di Ravenna Festival. Il catalogo vuole dare conto della natura “polifonica” del cartellone, dai nuclei tematici che lo caratterizzano alle riflessioni che scaturiscono da scelte artistiche.
Il titolo scelto per questa 36esima edizione è “Donde hay música no puede haber cosa mala”, preso a prestito dal capolavoro di Cervantes. In apertura infatti, si trova subito un dipinto del pittore ravennate Domenico Miserocchi che ritrae proprio Don Chisciotte. Ma il tema cavalleresco è declinato secondo l’appartenenza “romagnola” anche da uno studioso e linguista come Giuseppe Bellosi, che introduce il lettore al primo esempio di poesia dialettale in Romagna: il Pulon matt, poema appunto in dialetto di anonimo cesenate risalente ai primi del Seicento, del quale Bellosi traccia le influenze derivanti dall’Orlando Furioso.
A chiudere la sezione “donchisciottesca” è riproposto un saggio di Pietro Citati, che approfondendo la figura dell’hidalgo seicentesco conduce a una finestra aperta proprio sulle realtà teatrali ravennati con le quali il Festival negli anni ha stabilito rapporti importanti e duraturi. Una sorta di “prima ricognizione del teatro a Ravenna Festival” introdotta dalle parole di Franco Masotti – Felix Ravenna – che si sofferma appunto su alcune compagnie: per il Teatro delle Albe il puntuale resoconto è di Marco Sciotto, per Fanny & Alexander è di Rodolfo Sacchettini, mentre a raccontare il rapporto con Elena Bucci è Alessandro Toppi, tre studiosi di teatro che indagano un rapporto duraturo e fruttuoso.
Il libro affonda poi le mani nella contemporaneità rivolgendo lo sguardo alla tragica quotidianità di un popolo, attraverso le immagini di I Grant You Refuge, la mostra di sei fotografi palestinesi attualmente allestita in città. A queste si collega il saggio di Marcello Lorrai, giornalista di Radio Popolare, che, anche prendendo come riferimento i protagonisti dei concerti allestiti in collaborazione con il Festival delle Culture, ne Il canto di un popolo traccia la storia di “un secolo di musica palestinese”.
La seconda parte del libro, condotta dal musicologo Marino Angelocola, vuole perlustrare un’altra traccia significativa del Festival, quella rivolta alla Vocazione al sacro, quindi alla musica sacra e liturgica che da sempre caratterizza i cartelloni e si avvia a celebrare alcuni importanti anniversari: dai 500 anni dalla nascita di Giovanni Pierluigi da Palestrina, il più importante compositore della Chiesa Cattolica e modello imprescindibile per tutta la musica sacra (e non solo) a venire, di cui scrive in un intrigante saggio Marco Della Sciucca, specialista già autore di una importante monografia sull’argomento. Poi i centenari della nascita di due protagonisti della musica del Novecento: Luciano Berio e Pierre Boulez, entrambi in passato ospiti di Ravenna Festival, qui affiancati grazie a due loro scritti (rispettivamente Del gesto e di Piazza Carità e Questioni di generazioni) che rimandano a un’esperienza comune, un aneddoto che li vede a Napoli appunto in cerca di Piazza Carità.
Per Roberto De Simone, poi, non si tratta di un anniversario, ma solo di omaggiare uno dei protagonisti della vita musicale e teatrale del nostro Paese, venuto a mancare pochi mesi fa: a ricordarlo con affetto è Riccardo Muti, che con lui tante volte ha collaborato a importanti produzioni operistiche, tra l’altro anche a Ravenna Festival – in buca i Wiener Philharmoniker, per due titoli della trilogia Mozart-Da Ponte, diretti da Muti, alla regia appunto De Simone.
Infine, alcuni scritti si legano a produzioni che punteggiano il cartellone: il musicologo Giordano Montecchi, sapiente indagatore del contemporaneo musicale (soprattutto quello antiaccademico), restituisce un quadro dell’esperienza compositiva di Heiner Goebbels; Helmut Failoni, critico musicale del Corriere della Sera, tratteggia un ritratto di Uri Caine, presente al Festival con il suo The Passion of Octavius Catto; mentre Alessandro Carrera – il più illustre “dylanologo” italiano – prova a ripercorrere la singolare vicenda, o meglio vera e propria leggenda, del concerto di Bob Dylan a Manchester del maggio 1966 – lo stesso che Cat Power riprenderà anche sul palcoscenico ravennate. Ancora, Pierfrancesco Pacoda, critico musicale e saggista che si occupa di linguaggi, culture e stili di vita giovanili, introduce il lettore alla Napoli segreta, ovvero a una discografia minore eppure fertile nella Napoli degli anni Settanta e Ottanta, gli stessi che poi porteranno a musicisti come Pino Daniele. A chiudere il volume, della figura di Anita Garibaldi, centrale nella nuova opera di Gilberto Cappelli, ci racconta uno storico del Risorgimento quale Sauro Mattarelli.
Il libro è in vendita, al prezzo di 30 euro, alla Biglietteria del Teatro Alighieri, nei luoghi di spettacolo, alla Libreria Dante di Longo e nei bookshop di alcuni dei principali musei della città. : Basilica Sant’Apollinare in Classe, Mausoleo di Teodorico, Museo Nazionale, Casa Dante, Classis Museo del Territorio e della città, Domus Tappeti di Pietra.