La campionessa di volley che fa l’università: «Quante notti passate a studiare…»

Laura Melandri, da Bagnacavallo, ricorda quando a 15 anni si trasferì a Bergamo per la pallavolo. «Ma non dimentico da dove vengo e quando posso torno a casa per parlare con i ragazzi delle scuole»

Laura Melandri

Classe 1995, di Bagnacavallo, Laura Melandri una ragazzina prodigio lo è stata e lo racconta oggi con il sorriso, forte della sua carriera che l’ha portata nel giro della Nazionale (è stata sostituita solo all’ultimo dal gruppo delle convocate per gli imminenti Mondiali), tenendo sempre a mente la sua vita da quindicenne lontana da casa per “colpa” dello sport. «Mi sono avvicinata alla pallavolo alla Fulgur Bagnacavallo, in terza elementare, e devo ringraziare in particolare un tecnico, Sergio Soavi, che mi ha acceso la passione per il volley e mi ha insegnato la disciplina dello sport. Dopo cinque anni a Bagnacavallo in terza media sono andata alla Teodora Ravenna, una società storica che per me rappresentava già un salto di qualità enorme. In quegli anni avevo iniziato ad avere come priorità, oltre alla scuola, lo sport, tanto che per esempio saltavo di mia iniziativa le gite scolastiche per non distrarmi troppo dalla pallavolo». Poi la Teodora incappò in una sorta di fallimento e Melandri si allontana ancora un po’ dalla sua Bagnacavallo. «Andai a giocare a Bologna nell’anno in cui avevo iniziato il liceo classico a Lugo: facevo avanti e indietro in autostrada tutti i giorni, mangiavo e studiavo in auto, me lo ricordo come se fosse ieri. Ma quella stagione è stato il mio trampolino di lancio». Dopo, infatti, è arrivata la chiamata della Foppapedretti Bergamo, tra i migliori settori giovanili d’Italia. «Una chiamata inaspettata, che non immaginavo. I miei hanno cercato di farmi pensare bene a cosa volesse dire andarmene di casa a 15 anni, ma la mia idea era che volevo fare quello nella vita e sono partita, molto carica. Poi devo dire che i primi mesi ho avuto una bella crisi, ma solo perché ho sempre tenuto molto anche alla scuola e sono passata dalla media dell’8 del liceo di Lugo a quella del 4 di Bergamo. Tra l’altro i bergamaschi sono inizialmente molto chiusi, anche se poi quando si aprono ti danno molto, e quindi all’inizio è stata dura. Ma il mio sogno era una grossa spinta e ho avuto la fortuna di avere una famiglia d’oro, che mi ha seguito in tutto e per tutto. Ho insistito e al liceo è andata meglio, anche se poi ho finito la scuola in una paritaria, comunque impegnativa, riuscendo a diplomarmi con 80/100. Gli insegnanti vedevano che mi impegnavo e non mi hanno mai martoriato: mi svegliavo alle quattro e mezza per studiare, andavo a scuola, mangiavo, studiavo, andavo ad allenamento, mangiavo e studiavo fino a mezzanotte per poi svegliarmi quattro ore dopo. Lo studio è sempre stato una mia fissa e infatti adesso sono anche a metà della laurea triennale di psicologia, fortunatamente per noi atleti oggi è possibile frequentare l’università anche on line».

Da Bergamo Melandri ha poi proseguito la propria carriera a Piacenza, San Casciano in Val di Pesa e Conegliano, dove l’anno scorso ha vinto lo scudetto. Quest’anno l’ennesimo trasloco, a Monza. Nessuna nostalgia di casa? «La Romagna mi manca sempre e andando avanti con gli anni ancora di più. Sono poi dell’idea che non si debba mai dimenticare da dove si viene e così quando posso cerco di andare a vedere le ragazze della Fulgur, di portare la mia testimonianza anche nelle scuole: se ce l’ho fatta io ad arrivare in serie A, potete farcela anche voi, dico ai ragazzi». A cui però forse pesano i sacrifici… «Ma probabilmente io sono un po’ l’eccesso, in realtà ci si può fare una vita che non sia solo sport e scuola, tante mie compagne ce l’hanno fatta. Io invece caratterialmente sono sempre stata molto esigente con me stessa, sia a livello scolastico che a livello pallavolistico. Ovviamente pesano anche a me i sacrifici, adesso per esempio mi piacerebbe stare di più con la mia nipotina di un anno e mezzo, o con il mio fidanzato che vive a Castel San Pietro, ma se la motivazione è forte, vale la pena fare il sacrificio». E le delusioni? «Ci sono e sono grosse, a volte fanno proprio male, ma ti rafforzano. L’importante è essere consapevoli – sembra una banalità ma è fondamentale – che siamo noi i primi che dobbiamo credere in noi stessi, senza guardare troppo ai giudizi degli altri. Il Mondiale saltato all’ultimo? Un piccolo infortunio mi ha impedito di entrare in forma ma farò un tifo sfrenato per le azzurre, secondo me possiamo arrivare sul podio. Sono comunque molto contenta di essere nel giro della Nazionale».

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