«Che emozione quella sera con la maglia azzurra. L’Italia con Mancini si riprenderà»

Mirko Valdifiori sette anni fa debuttò con la Nazionale contro l’Inghilterra. Oggi, da svincolato, si allena nella sua Russi in attesa di una chiamata

Valdifiori.italia.inghilterra.rooney.2014.2015.1400x840«Solo a ripensarci mi vengono i brividi: una serata che mi porterò dentro per sempre». Mirko Valdifiori, centrocampista al momento svincolato di 35 anni, da Russi, è l’ultimo calciatore nato e cresciuto in provincia di Ravenna a essere stato convocato in Nazionale.

Esattamente 7 anni fa il debutto, per quella che resterà la sua unica partita in azzurro, il 31 marzo 2015 a Torino, contro l’Inghilterra, amichevole di lusso finita 1-1. «Fu una grande emozione, un sogno che si è realizzato, proprio nel primo anno di serie A, dopo tanta gavetta – ricorda Valdifiori – ogni tanto riguardo i vecchi video e le foto. Ricordo il senso di appartenenza che si prova; e poi cantare l’inno è emozionante anche davanti alla tv, non riesco a spiegare quanto lo sia stato, in campo, in uno stadio come quello della Juventus, abbracciato a giocatori che hanno fatto la storia del calcio italiano, come Buffon, Bonucci o Chiellini. Indescrivibile l’emozione anche di lottare per la maglia della propria nazione, dentro il campo, sentendo il calore delle gente».

ValdifioriCos’hai provato dopo l’eliminazione dell’altra sera? Qual è il motivo per cui siamo costretti a saltare due mondiali consecutivi?
«È un grande peccato, un’amarezza incredibile, ma è troppo semplice puntare il dito contro un sistema intero. La scorsa estate c’era grande euforia per la vittoria dell’Europeo. Sicuramente anche la formula è assurda, come diceva Bonucci, ci ritroviamo fuori dopo esserci giocati tutto in una partita secca, dopo un record lunghissimo di imbattibilità».

Qualcosa però staremo sbagliando. Come la gestione dei giovani.
«Purtroppo non ci puntiamo tanto, si preferisce andare a cercarli all’estero, dove sono più pronti, ma così valorizzi giovani di altri. All’estero a 20-21 anni fanno già campionati di livello internazionale, qua prima di crederci passa del tempo. Basta pensare a Verratti, all’estero ci hanno creduto subito, fosse restato in Italia avrebbe fatto un altro percorso».

E anche la tua storia insegna.
«Esatto: ho avuto la fortuna o la bravura di arrivare in serie A, ma ci sono arrivato a 27 anni solo perché ho vinto un campionato di B. Allo stesso modo in quell’Empoli i Rugani, i Saponara, i Verdi, i Di Lorenzo, si sono potuti mettere in mostra solo grazie alla vittoria del campionato. Ma in serie B ce ne potevano essere altri, guardiamo per esempio anche il caso di Caputo».

Ma perché succede? Scarsa competenza degli osservatori?
«Io sono un giocatore e non posso dirlo, ma di certo è così che funziona in Italia, da tanti anni, si punta poco sui giovani del proprio vivaio. All’estero, anche se sbagliano, si danno altre possibilità ai ragazzi, qui no. A parte alcune eccezioni, come lo stesso Empoli, o com’era il Chievo, realtà senza pressioni».

Cosa ricordi del tuo settore giovanile?
«Dopo Russi, la squadra del mio paese, l’ho fatto a Cesena, un settore giovanile importante, che ha sfornato tanti giocatori per le serie maggiori, come in quel periodo Pozzi, Pulzetti, Bernacci…».

La convocazione in Nazionale può cambiare una carriera?
«Direi di sì, è normale, ti conosce più gente, hai più richieste. L’anno successivo andai a Napoli, ma non andò bene».

Al tuo posto Sarri iniziò a puntare su quel Jorginho che ancora oggi è il regista titolare della Nazionale. Che rapporto avevi con lui?
«Buono, come con tutti i miei compagni. Se poi uno non era uno stupido, lo capiva che garantiva maggiore qualità a Sarri ed è stato in qualche modo normale fargli spazio. Con il senno di poi, in generale, io mi sono approcciato a una realtà come Napoli in maniera troppo titubante, atteggiamento che mi ha condizionato in campo, ci sarebbe stato bisogno di più spensieratezza».

Hai ancora voglia di giocare?
«Sì, vorrei giocare ancora due anni, sono integro, non ho avuto infortuni. Dopo la risoluzione del contratto pochi mesi fa con il Pescara, dove sapevo comunque di essere un po’ fuori dal progetto fin dall’inizio, ora mi sto allenando a Russi (dove Valdifiori vive con moglie e due figlie, ndr) con il mio preparatore. Magari tra qualche giorno andrò anche a fare qualche allenamento con mio babbo (Nevio, allenatore del Faenza, in Promozione, ndr), mi manca la partitella, lo spogliatoio. E poi sto pensando a dei corsi per poter restare nel mondo del calcio anche una volta terminata la carriera».

E l’Italia, nel frattempo, saprà riprendersi?
«Giovani interessanti ci sono, spero che rimanga effettivamente Mancini, come annunciato in queste ore, che oltre a un grande tecnico è anche un grande uomo. Saprà di certo entrare nella testa dei giocatori, fare un lavoro psicologico come ha fatto all’Europeo. A volte è tutta questione di testa».

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