Una vita dedicata alla danza, che l’ha portato a soli 15 anni a lasciare Ravenna, la sua famiglia, i suoi amici e i compagni del liceo scientifico-sportivo per trasferirsi a Milano e inseguire il sogno di diventare ballerino classico.
Federico Depasquale, classe 2009, è uno dei due candidati ammessi quest’anno al quinto corso dell’Accademia Teatro La Scala di Milano. Il suo percorso inizia a tre anni e mezzo, con le lezioni di ginnastica artistica all’Edera di Ravenna. A sei si avvicina al mondo della danza classica, ottenendo un notevole riscontro dagli insegnanti. Da lì 7 anni di formazione alla Cecchetti Academy («una scuola che mi ha formato molto, nella danza contemporanea come nella vita, ma che ho sentito il bisogno di lasciare per una formazione ancora più specifica») e l’inizio degli studi al Laboratorio Danza e Teatro di Heidi Pasini di Longiano: «Una scelta impegnativa, che mi ha portato a dividermi per un anno tra gli studi all’Oriani e le lezioni nel Cesenate», ma che ha ripagato con l’ammissione ad alcune delle più prestigiose accademie a livello europeo, come l’European School Of Ballet di Amsterdam e la John Crank Schule di Stoccarda. Quella di scegliere l’accademia milanese però è stata «una decisione semplice e istintiva: la Scala è un sogno fin dall’infanzia, il simbolo del balletto in Italia».
Oggi Federico si divide tra la vita in convitto, gli intensi allenamenti in accademia e le lezioni al liceo coreutico. La sua vita non assomiglia a quella dei suoi coetanei, ma ci racconta che non avrebbe potuto essere diversamente: «Uno con la voglia di ballare ci nasce, è un modo di esprimersi, diventa inevitabile e necessario seguire questa passione».
Come si svolge una tua giornata tipo a Milano?
«Sveglia alle 6.45, doccia e via in accademia, a piedi o in bus. Alle 9.30 iniziano le lezioni di danza, dai due ai quattro corsi al giorno divisi tra classico, contemporaneo e preparazione atletica. Io però cerco di arrivare sempre qualche ora prima, per iniziare il riscaldamento e fare qualche esercizio mirato: credo che il successo nella danza non si raggiunga solo con le ore trascorse in palestra con il maestro, ma con tutto quello che c’è dietro. Al termine dell’allenamento pranzo in accademia, o in convitto, faccio un’altra doccia e mi preparo per le lezioni del liceo: quattro ore al giorno a partire dalle 16.15. La cena è sempre in convitto, seguita dai compiti e da una notte di riposo in vista della nuova giornata».
Una routine impegnativa. Come vivi la differenza tra la tua quotidianità e quella dei tuoi coetanei?
«È la vita del ballerino. Sapevo a cosa sarei andato incontro, l’avevo già capito durante l’anno trascorso su e giù tra Ravenna e Longiano. Il confronto con le abitudini dei miei coetanei è inevitabile, soprattutto attraverso i social. Vedo i miei amici proseguire con le loro vite a Ravenna, frequentare i posti di sempre, dove ci si conosce tutti, e passare tanto tempo in famiglia. A Milano non è così semplice fare nuove amicizie, un po’ per la routine serrata, un po’ per le dimensioni della città… Anche il liceo scientifico mi manca, ero abituato a studiare molto duramente, mentre il liceo coreutico presenta un programma più leggero per dare modo agli studenti di concentrarsi sulla danza».
E il distacco dalla famiglia invece si fa sentire?
«Mi mancano, indubbiamente. Mi manca l’odore di casa e cucinare insieme alla mia mamma, ma mi reputo fortunato ad aver lasciato i miei genitori così tardi. Ci sono ballerini che entrano in accademia molto prima, portando l’intera famiglia a trasferirsi, se c’è la possibilità, o affrontando un distacco davvero prematuro. Il convitto è sicuramente la parte più dura: il primo giorno il rettore ci ha detto che da una parte c’è San Vittore, dall’altra un hotel, e il convitto è nel mezzo… e per certi aspetti sembra proprio così!».
La scelta di una disciplina poco consueta nel mondo maschile ha mai portato a episodi di bullismo o emarginazione da parte dei tuoi coetanei?
«Si, soprattutto alle medie. Alle elementari eravamo piccoli, e si dava poco peso a queste cose. Alle medie invece venivo sempre escluso dai gruppi maschili per via della danza. Anche durante le lezioni di educazione fisica ero sempre l’ultimo ad essere messo in squadra dai compagni, perché ritenuto “debole”, eppure risultavo più bravo e allenato di altri ragazzi scelti per primi. Credo che Ravenna sia una città molto prevenuta sull’argomento e, purtroppo, anche su molti altri».
C’è qualche icona della danza che ti ha ispirato durante il tuo percorso?
«Sicurmente Michail Baryšnikov. Un ballerino che fisicamente non è perfetto, ma che compensa con la sua grande espressività. Il suo modo di danzare trasmette emozioni intense e me l’ha fatto adorare fin dal primo momento».
Guardando al futuro, quali sono i tuoi progetti?
«Quello della danza è un mondo in cui è impossibile fare progetti a lungo termine. L’Accademia della Scala dura 8 anni, io ho passato le selezioni per entrare al quinto anno di corso, e ne ho davanti altri quattro. Non è detto però che riesca ad accedervi! Alla fine di ogni anno ci sono selezioni molto dure che ti permettono di passare al corso successivo. In caso di fallimento però non si ripete l’anno, ma si torna a casa. La danza non è per tutti, è una dinamica che va oltre al semplice impegno: il paragone che mi riesce più facile è quello con la scuola, dove con tanto studio e dedizione i risultati arrivano con certezza. La danza richiede passione e sacrificio, ma se il tuo fisico non risponde o non riesce a superare certi limiti non puoi progredire, e questo non dipende da te. Lavoriamo ogni giorno per superare le nostre debolezze fisiche, con screening, sedute di fisioterapia mirate e esercizi appositi».
Un sogno nel cassetto però ci sarà…
«Uscire dalla Scala per ballare in tre teatri: l’Opèra di Parigi, la Royal Opera House di Londra e il Teatro Bol’šoj di Mosca. Ovviamente disapprovo la guerra russa, ma credo sia impossibile per un ballerino classico non sognare quel palco. Le compagnie che si esibiscono in questi teatri sono composte da una ventina di ballerini al massimo, i migliori del mondo. È un sogno ambizioso, ma continuerò ad impegnarmi per provare a renderlo reale».