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    Categoria: politica

«Il Pd è feudale, comandano i capibastone»

Chi l’avrà mai detto? Un nemico giurato del partito? No, Fabrizio Barca…

«Il Pd è fermo al Medioevo. Comandano i capibastone. Ci sono degenerazioni evidenti e miserabili». Chi ha scritto queste frasi? Un nemico giurato del Pd? No. È stato Fabrizio Barca, ex Ministro del Governo Monti, economista ed esponente di punta del Pd. Queste frasi sono tratte da “Una proposta per il Pd, un anno dei luoghi ideali”, la corposa relazione che Barca ha presentato pochi giorni fa alla sede del Pd a Roma, e che riassume dodici mesi di studio su oltre 40 circoli di dieci città, per «verificare la capacità del partito di agire come ponte tra società e istituzioni». Scrive Barca: «Il Pd è diventato un partito neo-feudale, dove comandano i capibastone, un moloch nel quale spicca l’assenza di confronto su valori e contenuti».

Per salvarsi deve restituire parola e spazi ai suoi iscritti e darsi nuove regole, dalla separazione tra le figure di segretario e premier fino a norme più stringenti per le primarie. Barca prosegue: «Il federalismo nel Pd sembra feudalesimo. Il partito potrà farcela solo se il suo vertice nazionale riterrà opportuno e possibile bloccare la sua deriva neo-feudale». Servirebbe «un partito-palestra, aperto alla cittadinanza», invece ovunque si è affermato «un Pd dove domina l’idea che la funzione primaria sia quella di bilanciare i poteri». «Le organizzazioni territoriali, lasciate libere dal centro (libere di accapigliarsi per il potere) possono troppo facilmente cadere preda di interessi particolari». Insomma, cacicchi e correnti dominano senza controlli. E allora «i gruppi locali dei progetti riusciti hanno dovuto navigare controcorrente rispetto a questa logica: il loro lavoro è stato spesso criticato come una “perdita di tempo” rispetto a “ciò che conta”, ossia l’occuparsi di candidature o di filiera. O addirittura come destabilizzante per gli interessi di qualcuno». Questi «fenomeni degenerativi dentro il partito sono evidenti, tristi e miserabili».

E riformare il Pd è «difficile ma non impossibile». Tradotto dal burocratese, nelle sezioni Pd non si fa politica ma si scontrano solo gruppi di potere che usano la carriera politica per salvaguardare i propri interessi. E se qualcuno si oppone, o se vuole fare solo “politica”, viene visto come un pericoloso intruso. (E qui, a qualcuno anche a Ravenna dovrebbero fischiare le orecchie.)

E se questo è il rapporto sui circoli del Pd sani, sparsi in tutta Italia, immaginate come si sentiva il povero Barca, quando, venerdì scorso, ha presentato il rapporto sullo stato del Pd romano, scosso dalle inchieste su Mafia Capitale. Barca ha esaminato 108 circoli Pd della capitale e li ha classificati in sei categorie. In ordine dalla peggiore alla migliore: «potere per il potere» (27), «presidio chiuso» (2), «identità» (25), «inerzia» (17), “ponte” (28) e i circoli «progetto» (9). «Il circolo potere per il potere è quello dove prevalgono gli interessi particolari di qualcuno. Questo circolo è dannoso perché blocca il confronto sui contenuti, premia la fedeltà di filiera, emargina gli innovatori, e andrebbe chiuso». Il “presidio chiuso” è un circolo segnato dal forte degrado sociale e chiuso al dialogo. Quello “identità” salvaguardia una identità ormai persa. I circoli “inerzia” sono quelli che si mobilitano solo per le elezioni, per eleggere qualcuno. Si salvano i 9 (nove!) circoli “progetto”. Complimentoni.