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    Categoria: politica

Parla il candidato sindaco in pectore, dalla Cgil a Renzi: «È il mio segretario»

Ecco l’assessore Liverani: «Il Pd è più della somma delle sue parti
Le primarie non sono un obbligo, il partito qui è all’avanguardia»

Assessore da gennaio ai Lavori pubblici nel Comune di Ravenna al posto di Andrea Corsini, andato in Regione, Enrico Liverani (qui sopra mentre stringe la mano al ministro Boschi) è il nome che è stato speso dal segretario provinciale Michele De Pascale alla Festa dell’unità come possibile candidato per il Pd (vedi articoli correlati). Un nome scelto senza primarie e che dovrebbe essere proclamato ufficialmente con il voto della Direzione comunale del Pd che avverrà verosimilmente dopo la fine della festa del partito (lunedì 14 settembre), a meno che naturalmente qualcuno, con i numeri, non chieda formalmente di ricorrere alle primarie.

Liverani, 39 anni, laurea in Psicologia, è educatore, ed è stato per oltre dieci anni segretario in Cgil per la Funzione pubblica, provinciale e regionale. Fa sicuramente parte dei volti nuovi della politica cittadina per quanto il suo profilo professionale non abbia subito entusiasmato tutti. Lo incontriamo poco prima di una riunione di giunta a Palazzo Merlato.

Come definirla? Possibile candidato sindaco?
«Sì, direi che “possibile” è una definizione calzante».
Come sta vivendo questi giorni in cui il suo nome è stato fatto ma ancora non è ufficiale?
«Con la massima ordinarietà. Non posso negare che mi abbiano fatto piacere le tante attestazioni di stima non solo dal Pd ma anche dentro l’Amministrazione, ma io sono concentrato sul mio lavoro come assessore che mi impegna moltissimo».
Lei è entrato in giunta a gennaio, si aspettava di diventare il possibile candidato sindaco in così pochi mesi?
«No, assolutamente, non c’era questo obiettivo. Da gennaio a oggi sono nate le condizioni per questa ipotesi, perché, in sintonia con la politica di adesso, dentro il Pd è evoluta la situazione piuttosto rapidamente e al passo con i tempi. Viviamo un’epoca in cui un anno corrisponde ormai a un’era e si può dire che in questo siamo all’avanguardia come Pd. Si è trattato di un processo quasi fisiologico che non era certo preventivato».
Per la verità sul suo nome non c’è stata subito unanimità: il suo passato da sindacalista è stato visto da qualcuno, anche nell’anima del Pd più a sinistra, come un possibile “handicap”. Oggi queste frizioni si sono ricomposte?
«Intanto è in corso un naturale confronto all’interno del partito che va dai segretari di circoli, perché questo è un territorio ampio dove il Pd è, come noto, molto radicato, fino a contatti più diretti per trovare l’equilibrio migliore possibile e sono certo che si troverà».

C’è anche chi, come il presidente Sapir Matteo Casadio su Ravenna&Dintorni (vedi articoli correlati), chiede le primarie come metodo…
«Come ho detto, personalmente, a prescindere dal fatto che ci sia in ballo il mio nome, mi ritrovo nella scelta del percorso unitario intrapresa dal segretario Michele De Pascale. Le primarie possono essere uno strumento utile ma non sono un obbligo e in questo caso non risponderebbero allo slancio del gruppo dirigente del partito, che è un gruppo nuovo rispetto al passato, e a ciò che ci chiede la gente. Per questo io sto facendo il mio lavoro da assessore con molta attenzione e serenità, in attesa dell’esito di un dibattito che è in corso».
Ma così, come dice appunto Casadio, non si rischia di evitare un vero confronto sui temi?
«Credo ci siano fasi in cui sono più opportune alcune strategie, altre fasi che ne richiedono di diverse. Ogni metodo ha vantaggi e controindicazioni, ma credo che il Pd di Ravenna stia facendo davvero il Pd, ossia una sintesi di culture e anime diverse che riescono nel dialogo e nel confronto a creare un’unità che è un valore aggiunto e che credo possa essere considerato alla pari se non maggiore, come potenza, di quello che un confronto per le primarie ci avrebbe obbligato a fare. Questo non significa negare la validità come strumento delle primarie in generale, ma fare solo una valutazione del qui e ora. Si tratta di un percorso di grande responsabilità, il nuovo gruppo dirigente del Pd deve avere il coraggio di gettare il cuore oltre l’ostacolo e far sì che tutti si ritrovino da subito in un progetto comune».
Tra le reazioni più entusiastiche arrivate alla sua potenziale candidatura ci sono quelle di alcuni esponenti della minoranza di Sel, che vogliono dialogare con il Pd e che considerano lei un candidato ideale anche perché garanzia di laicità e proveniente dalla Cgil, considerato come una sorta di “baluardo” contro Renzi…
«Non ho mai aderito ad aree e posizionamenti. Io mi sento Pd. Mi sento figlio di più culture con un radicamento socialdemocratico che rivendico e che non è in contrapposizione con ciò che Renzi rappresenta: la voglia di cambiare il Paese, andare avanti. Per esempio, tra le persone con cui ho un rapporto migliore del gruppo ravennate c’è Roberto Fagnani, renziano della prima ora. Condividiamo una visione del partito e del territorio e facciamo squadra in maniera non antagonista».
E però mentre Fagnani era all’ultima Leopolda lei era in piazza a protestare contro il Jobs Act…
«Certamente ci sono spazi fisici ben netti, ma non vedo necessariamente una contrapposizione. O meglio, la contrapposizione ci sarebbe se non esistesse il Pd. Il Pd è più della somma delle sue parti. È un’idea con i piedi ben piantati per terra che punta ad andare avanti rinnovando ciò che siamo. Del resto Renzi il suo grande consenso lo ha avuto anche da tanti che provengono dalla sinistra».
Votò Renzi all’ultimo congresso?
«No, ma Renzi è il mio segretario e io voglio che il governo vada avanti e vada avanti bene e voglio che il Pd sia il miglior Pd possibile. Non è che siccome ho aderito a un’altra mozione congressuale io mi senta in contrapposizione al segretario».
Non si rischia così il rischio di enunciare solo concetti di principio proprio per mettere tutti d’accordo senza mai fare scelte concrete? Se dentro il Pd ci può stare il Jobs act e chi manifesta contro il Jobs act non si rischia un eccesso di astrattezza che potrebbe riverberarsi anche nella gestione del territorio?
«Ma no, credo di no. Lo scopo non è dove ti posizioni ma dove vuoi andare: si può anche partire da punti opposti, pur chiaramente dentro l’ambito del centrosinistra, ma se l’obiettivo è andare avanti ci si può riuscire. Quando si sta in una squadra ognuno deve cedere una cosa, magari per guadagnarne due insieme. Questo è un mio modo di stare nelle cose, non credo che non esista la possibilità di un governo comune anche partendo da posizione diverse. Il Jobs act ha come ogni norma aspetti virtuosi e migliorativi e altri aspetti migliorabili. Lo stesso Poletti ha detto che c’è la disponibilità a modificare le norme qualora non avessero gli effetti sperati. A me questa sembra sempre una buona posizione. Quando si ha la responsabilità del governo si deve essere sempre pronti a fermare la macchina e correggere quanto c’è da correggere. Su questo sono tranquillo».
A proposito di confronto e ascolto. Che ruolo deve avere la concertazione che tanto Renzi ha condannato di recente? Anche dal punto di vista di amministratore e da ex sindacalista…
«Io credo che il confronto con le rappresentanze sia necessario e non sia tempo perso perché la politica vive delle relazioni che crea. Il problema è sorto quando alla concertazione è stata demandata la responsabilità di governo e i ruoli sono cambiati e la politica non ha fatto il suo mestiere. Amministrare significa assumersi delle responsabilità».
Un’altra delle caratteristiche che piace alla sinistra e invece magari entusiasma meno i cattolici è il fatto che lei sarebbe una “garanzia di laicità”.
«Se mi si definisce laico mi va benissimo perché la laicità tutela tutti, tutela chi è ateo e chi è credente qualsiasi sia il credo. La laicità è rispetto della parte religiosa di chiunque e, soprattutto, quando si è in un’istituzione la laicità è una garanzia di tutti».
A proposito di alleati, ex alleati e sinistra, cosa pensa del progetto Ravenna in Comune, che si dice alternativa al Pd?
«Ho grande rispetto per tutti coloro che decidono di proporsi con idee per il nostro Comune. Nel caso specifico, letti alcuni dei temi che propongono, credo che l’apertura nei confronti di “Ravenna in Comune” fatta da De Pascale sia ancora la migliore strada da percorrere».
E qual è l’avversario più temibile per il Pd?
«Il Pd deve riuscire a essere protagonista, a dettare l’agenda e i temi, dopo essersi “aperto”nel modo più ampio possibile: siamo già su questa strada che percorriamo con convinzione, per ridare fiducia e voglia di partecipare. Il tema del cambiamento ce lo vogliamo intestare e sono convinto che la strada che stiamo percorrendo sia quella giusta».