Al confronto sulla cultura di Mirada a parlare sono soprattutto le assenze

Presenti solo le candidate Guerra e Sutter, che criticano il sistema
e vorrebbero Landi e Lamri assessori. L’ex M5S dura con Cassani

Se anche le assenze parlano, ieri sera (mercoledì 4 maggio) al Dock 61 sono state dette molte cose. Perché all’incontro sul tema della cultura proposto dall’associazione Mirada e moderato dalla presidente Elettra Stamboulis dei cinque candidati a sindaco ce n’erano appena due: Raffaella Sutter di Ravenna in Comune e Michela Guerra di CambieRà.

E anche tra il pubblico gli operatori culturali si contavano con il contagocce, con a spiccare la presenza di Franco Masotti del Ravenna Festival: «Ma sono qui a titolo del tutto personale» – ci tiene a precisare.

Stamboulis ha specificato che in realtà Maurizio Bucci della lista civica La Pigna aveva da subito detto di non poter partecipare e che avrebbe mandato qualcuno che poi però non si è fatto vedere, mentre Alberghini ha chiamato la mattina stessa lamentando un abbassamento di voce: avrebbe partecipato al suo posto Alvaro Ancisi di Lista per Ravenna – è stato comunicato – non fosse che era a Roma per impegni istituzionali. E Il Pd? «Risposta non pervenuta – dice Stamboulis – il candidato Michele de Pascale ci ha detto subito che non sarebbe potuto venire, abbiamo chiesto che mandasse qualcuno al suo posto mai non abbiamo mai ricevuto risposta».

Ora, naturalmente, la ragione per spiegare la diserzione del Pd dal confronto è verosimilmente da cercare nella polemica sollevata proprio da Stamboulis qualche settimana fa. Polemica scaturita dopo la decisione dell’associazione Mirada di rescindere la convenzione con il Comune di Ravenna e portare, dopo 11 anni, il festival del fumetto di realtà Komikazen a Rimini per una mancanza, per citare Stamboulis di «engagement» da parte del Comune. Polemica con strascico particolarmente fastidioso per l’assessore alla cultura Ouidad Bakkali (e non solo) perché è stata occasione per parlare anche dei finanziamenti dati dall’Amministrazione alle associazioni di due fidanzati di due assessore, questione finita in particolare nel mirino de La Pigna (vedi articoli correlati).

Non solo. Stamboulis si è schierata fin dall’inizio a favore di Sutter. Diciamo quindi che effettivamente il contesto dell’incontro non garantiva forse la totalità imparzialità, ma è pur vero che poteva essere un’occasione non tanto per rispondere alle polemiche (peraltro smorzate più che rinfocolate dalle candidate sindaco presenti) sui fidanzati, ma per ragionare del sistema cultura in città, su cui invece sono volate critiche piuttosto puntuali e salaci a cui sarebbe interessante contrapporre una replica articolata da parte di chi quelle scelte le ha fatte o non le ha comunque mai messe in discussione. Perché appunto, a prescindere dalla questione fidanzati che può più o meno appassionare, i temi posti sul tavolo da Stamboulis sono cruciali: trasparenza nelle scelte culturali di un’amministrazione, discrezionalità nelle nomine, professionalizzazione e i nomi degli assessori alla Cultura che avrebbero scelto gli aspiranti sindaci.

Michela Guerra ha detto che passerà da qui al ballottaggio a cercare di convincere Marcello Landi ad accettare l’incarico di assessore in una sua ipotetica giunta e del resto il nome di Landi, tra i “magnifici sette tecnici” presentati di recente dalla Guerra (sempre tra i correlati), è stato citato più volte nel corso della serata, a ripetizione. Il giudizio di Guerra su quanto fatto dall’amministrazione è impietoso: «Abbiamo toccato il fondo – ha detto –. È tutto da ricostruire». Suo punto fermo è il fatto che qualsiasi evento debba in qualche modo coinvolgere anche l’infanzia e i bambini per crescere le generazioni future e insegnare loro ad amare la cultura e il loro territorio. Ha elencato criteri per bandi pubblici e trasparenti per convenzioni che dovrebbero scadere a fine mandato politico della giunta e che vanno dall’affidabilità dell’ente che chiede i fondi, all’internazionalità dell’evento fino al successo in termini di presenze non solo ex post, ma anche in fase previsionale. Tra le realtà da incoraggiare sicuramente la scuola di jazz che oggi «riceve appena 4mila euro dal Comune», ma anche la possibilità di valorizzare opere e dipinti «sepolti» al Mar, di far rivivere le antiche mura, di esposizioni all’aria aperta o negli edifici di archeologia industriale della Darsena, un centro di poesia internazionale legato al nome di Dante e anche la creazione di una festa della musica, il tentativo di riportare il Museo dell’arredo di Biagetti a Ravenna. Soprattutto la Guerra si è scagliata contro l’attuale dirigenza comunale e anche gli assessori. Una dirigenza – secondo la candidata – snob e non sufficiente umile senza essere competente che ha bocciato progetti di pregio e di grande richiamo (il riferimento è ancora alle rievocazioni in costume per i 500 anni della battaglia di Ravenna) a cui vengono lasciate le scelte per l’impotenza dell’assessore. E non ha risparmiato anche l’ex assessore e cooordinatore della candidatura di Ravenna 2019: «Cassani lo manderei a raccogliere la frutta».

Di impronta decisamente più politica, se non proprio gramsciana, la visione di Raffaella Sutter che ha rivendicato la discrezionalità di un’amministrazione nelle scelte culturali, discrezionalità che deve seguire sei criteri secondo la candidata: professionalizzazione degli operatori, produzione e non solo fruizione di cultura, internazionalizzazione, capacità di disseminazione e sedimentazione sul territorio, ruolo di incubatori per le realtà maggiori. Queste dovrebbero essere le chiavi per guidare le scelte. Sulla dirigenza e sui ruoli apicali in fatto di cultura Sutter denuncia l’eccessivo «provincialismo» e constata come, anche nell’ambito universitario, Ravenna non riesca ad attrarre cervelli. Immagina «case» e luoghi fisici dove elaborare e sperimentare le varie forme artistiche e i linguaggi, a cominciare dal cinema («il palazzo dei congressi è una cosa lì a metà» dice) per recuperare il progetto di una serie di realtà artistiche che si occupano di infanzia di una “casa per le arti” proprio pensata per i bambini. Tra i fili da riconnettere quello sul rapporto Oriente e Occidente, cui la città è vocata e il rapporto con il Mediterraneo. E ribadisce come anche sul fronte delle risorse si debba cercare di reperire fondi non solo dalle fondazioni cittadine, guardando a realtà oltreconfine. Il suo assessore alla cultura se fosse eletta? Un intellettuale mai allineato: Tahar Lamri.

Diversi i punti di contatto tra le due proposte, soprattutto nella critica al sistema e comune anche il rifuggire un attacco sul tema dei rapporti di etica tra amministratori e fidanzati o amici o parenti che operano nel settore: in una città piccola come Ravenna è difficile per chi amministra evitare sempre situazioni come queste. Certo, dice soprattutto Sutter, ci vuole senso della misura e forse è mancato il senso dell’opportunità, ma a tutelarsi da eventuali abusi, più di codici o norme, servono appunto la trasparenza e i criteri di cui sopra. D’accordo anche sulla necessità di intervenire sui servizi in appalto alle cooperative per garantire compensi equi ai lavoratori. In particolare su questo tema Sutter ha parlato esplicitamente di troppe «connivenze tra coop e amministrazione pubblica» che avrebbero implicato svantaggi per i lavoratori.

Come si diceva, tutti temi su cui sarebbe stato interessante un confronto soprattutto con la controparte del Pd che ha governato fino a oggi e che intende governare da domani e che legittimamente rivendica invece la ricchezza del panorama culturale cittadino, l’ingresso di molti nuovi soggetti tra chi riceve appunto fondi dal Comune, la varietà della proposta che questo sistema ha offerto. Insomma, il Pd argomenti a suo favore per la verità ne avrebbe più d’uno, ma fino ad ora ha preferito appunto restare piuttosto defilato e non accettare il guanto di sfida.

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