Collina (Pd): «Così modernizziamo il Paese e soprattutto la Sinistra»

«Se vincerà il no sarà la prova che questo Paese è irriformabile»

jjjjjStefano Collina, faentino, è senatore e fedelissimo del premier fin dagli esordi in politica e nel Pd di quest’ultimo. Ed è naturalmente in prima linea a difendere le ragioni del sì come farà sabato 26 novembre alla Sala d’Attorre di Ravenna alle 16.30 quando introdurrà, sul tema, i senatori Sergio Zavoli ed Emma Fattorini.
Senatore, lei è tra quelli che hanno abolito la camera in cui era stato eletto. È un po’ come ammettere che il lavoro di questi anni del Senato è stato un intralcio, è davvero così?
«Significa ammettere che si possono fare cose fatte bene anche con una camera sola, esattamente come avviene in tutti gli altri stati democratici europei, quelli con i quali ci confrontiamo e con i quali vogliamo collaborare e competere. Oggi, per stare al passo con gli altri Paesi, si utilizzano stratagemmi: uno su tutti è l’uso prevalente del decreto legge che è l’unico strumento che abbiamo per fare approvare una legge al parlamento in 60 giorni e comunque sempre con due o tre passaggi. Le riforme servono per avere una democrazia moderna come hanno gli altri Paesi europei».
Non sarebbe stato meglio abolirlo, il Senato? Non si rischia di eliminare conflitti tra Stato e Regioni ma farne sorgere tra le due camere?
«Con la riforma i rischi di conflitti calano perché la discussione e il confronto avverranno nella fase di formazione delle leggi e non più nelle aule della corte a leggi già  fatte. Poi usciranno sicuramente leggi che troveranno applicazioni regionali più omogenee, riducendo le differenze tra regioni, per il semplice fatto che tutte le rappresentanze delle regioni siedono in Parlamento e contribuiscono nel confronto a portare avanti una idea di Paese concreta e non astratta».
Ancora non esiste la legge che dica come saranno scelti i nuovi senatori. Come crede che sarà o dovrebbe essere?
«La legge non c’è per il semplice fatto che non possiamo fare adesso una legge sul Senato delle regioni quando il Senato delle regioni non esiste ancora. Mi immagino una scheda elettorale dove il giorno delle elezioni c’è una lista dedicata alla elezione dei Consiglieri che andranno in Senato. Mi immagino che naturalmente ci sarà anche il nome del candidato alla presidenza della Regione perché i governatori vorranno esserci».
Ma i consiglieri regionali e soprattutto i sindaci di città medio grandi non sono già abbastanza impegnati?
«I consiglieri regionali hanno lavori in aula in regione due giorni al mese: credo ci sia spazio per alcuni di loro per andare al Senato, ma in ogni caso vanno a Roma a fare un pezzo del loro lavoro che sarà quello di occuparsi dei rapporti tra l’attività legislativa dello Stato e quella delle Regioni. Come andare a Bruxelles è un pezzo del lavoro del presidente del Consiglio, così varrà per consiglieri regionali e sindaci, che avranno un ruolo importante che darà sicuramente ricadute positive alle amministrazioni locali».
Il partito è spaccato. Per il sì sono schierati molti poteri economici importanti, come Confindustria, per il no ci sono parti importanti della sinistra come la Cgil. Non rischia di essere un punto di non ritorno per il Pd?
«Stiamo modernizzando il Paese ma soprattutto la sinistra, che in Europa boccheggia ovunque con leadership deboli e che fa da spettatore al confronto tra i populismi e le destre di governo: guardiamo la Francia di Hollande, l’Inghilterra o la Spagna, ma anche in Germania non mi pare ci siano condizioni rosee. Noi siamo la sinistra più forte presente nel continente, che vuole proporsi per governare, non per dire sempre no. E per governare occorre persuadere gli elettori che abbiamo le proposte per dare a tutti delle opportunità, delle risposte credibili alle insicurezze del nostro tempo e non delle ricette antiche fuori dal tempo. Ma per fare questo occorre il coraggio di mettersi in discussione. Per il resto ogni televisione che guardo, trovo Salvini che dice votate no per buttare giù Renzi, Brunetta che dice votate no per mandare a casa Renzi, Grillo che dice votate no per spazzare via Renzi… Chi è che personalizza? E il merito dov’è? E comunque i sondaggi danno il gradimento del Pd al 30%, quello del governo al 38% quello di Renzi al 39% e quello del Sì al 48%. Le categorie partitiche fortunatamente sono superate in questo confronto referendario nonostante sia un voto ormai chiaramente politico. Io spero che la sinistra dopo avere mandato a casa da sola il governo dell’Ulivo, poi il governo dell’Unione, il 4 di dicembre non mandi a casa il governo del Pd».
Oltre a Bersani, anche nel ravennate abbiamo sentito Miro Fiammenghi lamentarsi dell’accordo fatto sulla legge elettorale. Quali modifiche crede che saranno apportate all’Italicum?
«Abbiamo fatto un accordo nel Pd che Gianni Cuperlo ha sottoscritto mentre Bersani lo ha rifiutato. Per me è doloroso che Bersani che è stato segretario nazionale e al quale abbiamo dato tutti lealtà e che ha insegnato a tutti noi come si sta in un partito, oggi tradisca quegli insegnamenti e voti no contro la linea del Pd spaccando il partito».
Se tornasse indietro, cosa cambierebbe della campagna elettorale per il sì?
«Spiegherei meglio a sinistra che questa riforma concretizza esattamente quello che abbiamo sempre detto che dovesse essere fatto. Basta leggere i programmi elettorali del Pds, dell’Ulivo, dell’Unione, ma anche le tesi della Cgil di due anni fa: si dice sì al superamento del bicameralismo e alla creazione del senato delle regioni».
Cosa succederà il 5 dicembre se vince il no?
«Sarà la dimostrazione che il nostro Paese è irriformabile, dopo di ché coloro che preferiscono l’opacità di uno stato farraginoso e incerto gioiranno perché potranno continuare a speculare e a insinuarsi in questo sistema: stiamo parlando di coloro che sanno andarsi a casa in ogni modo e cioè i poteri forti: infatti Mario Monti vota no. Chi vuole più trasparenza e chiarezza sulle responsabilità politiche e amministrative di chi governa e vuole restituire autorevolezza alla politica e controllo democratico vero in una democrazia rappresentativa deve votare Si per assicurare stabilità all’Italia».

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