Bancario, ravennate, 40 anni ancora da compiere, Giovanni Paglia è in Parlamento dal 2013 eletto nelle file di Sel ed è ora tra i convinti sostenitori della linea di autonomia del Pd della neonata Sinistra Italiana di cui è stato eletto tesoriere, incarico che fino a oggi aveva ricoperto solo nel gruppo parlamentare. Come noto, e come ormai tradizione della sinistra in Italia, SI nasce da una volontà di unire ed esordisce perdendo in realtà pezzi perché una parte degli ex Sel stanno guardando con interesse a ciò che potrebbe nascere dalla scissione a sinistra del Pd.
Onorevole, è stata una coincidenza positiva o negativa tenere il congresso fondativo negli stessi giorni della direzione e dell’assemblea più infuocata del Pd in cui è in corso una scissione?
«La nostra non è stata una scelta, ma se anche lo avessimo saputo, non avremmo cambiato la data del nostro congresso nel quale, tra gli oltre cento interventi, si è appena sfiorato il tema della scissione del Pd. Abbiamo invece parlato di diritti, lavoro; contenuti insomma».
Eppure un nuovo soggetto a sinistra del Pd rischia di essere un problema per voi, anche perché potreste perdere la metà dei deputati…
«È vero, ma credo sinceramente che sia un rischio più per loro che per noi. È del tutto evidente che c’è una ricerca di novità nel campo della sinistra, ma non vedo una grande prospettiva nell’idea di fare una scissione dal Pd per far nascere un soggetto che continua a sostenere convintamente il governo e gli alleati, anche più del Pd stesso di Renzi».
Stiamo tuttavia parlando di divisioni su divisioni. Perché questo destino infausto che talvolta sfiora il grottesco per la sinistra in Italia?
«Perché siamo l’unico paese dove un pezzo della sinistra ha regalato le proprie strutture agli avversari. Parlo naturalmente di quando gli ex Ds si sono fusi con gli ex democristiani, che hanno una cultura politica liberale. E non si torna facilmente indietro da un errore del genere. E in Europa oggi non sono i liberali quelli che stanno facendo autocritica, mentre i grandi partiti socialisti o labour stanno virando a sinistra e cambiando radicalmente politiche. Se noi fossimo in Inghilterra saremmo con Corbyn, in Francia vicini a Hamon, in Spagna con Podemos. In Italia non abbiamo niente del genere. Dobbiamo ricominciare daccapo e sono fiducioso».
Resta però che Sinistra Italiana non ha nemmeno unito le varie anime della sinistra, basti pensare ai partiti con la falce e martello, ma anche a Possibile o De Magistris. Insomma, la sensazione è che sia di fatto rimasto un pezzo di Sel…
«Capisco l’osservazione, ma non è così. In realtà in Sinistra Italiana, vuoi per l’apporto di persone come Stefano Fassina o dei gruppi di Act che sono confluiti, si è elaborata una proposta politica radicale piuttosto diversa da quella di Sel, che guarda, come dicevo, molto all’esperienza della sinistra europea. E anche l’intero gruppo dirigente è molto diverso da quello di Sel del 2011 e 2013. Siamo però consapevoli che esistono altre forze che stanno facendo percorsi simili e paralleli su molti aspetti, sicuramente c’è per esempio un’affinità molto forte con De Magistris, e su molti temi anche con Possibile, con cui sono certo che nei prossimi mesi si potrà ragionare. D’altra parte tanto il sindaco di Napoli quanto Civati sono venuti al nostro congresso a parlarci di unità. Del resto Sinistra Italiana ha dovuto affrontare un dibattito interno, come era giusto che fosse, e ora ha affermato una linea politica chiara, che secondo me potrebbe attirare nuovi consensi tra chi aspettava di capire appunto quale posizione avrebbe prevalso».
Lei è stato eletto tesoriere. Ma esiste un “tesoro” di Sinistra Italiana? Come si sosterrà?
«Abbiamo ereditato quel po’ di liquidità che era di Sel e abbiamo ancora qualche finanziamento pubblico con il 2 per mille, ma non ci sono proprietà immobiliari o altro. Più che altro su questo fronte stiamo ragionando per il futuro su più direzioni. La prima è quella dell’autofinanziamento, una tradizione della sinistra da recuperare anche per rendere le attività del partito indipendenti dai versamenti degli eletti. Con quanto invece viene versato dagli eletti vogliamo dare vita a forme mutualistiche e di finanziamento di attività e progetti di cui condividiamo principi e idee di fondo, sulla scia di sperimentazioni che abbiamo già fatto».
Arrivate dopo i grillini però…
«In realtà no, loro versano i soldi in un fondo che più che garantire le imprese, garantisce le banche. Ma la differenza più sostanziale è che noi vogliamo sapere e scegliere cosa finanziare. E poi c’è anche da dire che noi versiamo da sempre al partito molto più di quanto versano i grillini, circa 3.500 euro al mese per ogni parlamentare».
Un progetto ambizioso. Ma non c’è davvero nessun timore di condannarsi invece a un ruolo politicamente marginale dentro e fuori il Parlamento?
«Sono certo che in Italia ci sia bisogno di una forza politica che si collochi con intransigenza dalla parte del lavoro, dell’ambiente e della democrazia. Noi vogliamo provare a realizzarla, con umiltà e determinazione, e credo che nella società non saremo soli. Ci riusciremo? Posso dire che ce la metteremo tutta».
E sempre con il pugno alzato, come avete concluso il congresso? Non è un gesto ormai superato dalla storia?
«Siamo una forza che vuole interpretare il presente e guardare al futuro, senza nessuna nostalgia, ma ci siamo stancati di chi si vergogna del proprio passato, anche dal punto di vista simbolico».