Tribunale sul caso Ettore Muti: commemorare gerarca fascista non è reato

Accolta la richiesta della procura e archiviato l’esposto della Consulta antifascista contro una trentina di nostalgici che ricordarono il ravennate ex segretario del Pnf. Ma un’altra denuncia potrebbe presto arrivare in aula

Cerimonia Ettore Muti cimitero di Ravenna

La cerimonia per Ettore Muti degli “arditi d’Italia” al cimitero di Ravenna (foto Massimo Argnani)

La commemorazione di un gerarca fascista, con un raduno in una cerimonia pubblica che unisce celebrazione e preghiera, non è reato. Così è stato stabilito in tribunale a Ravenna il 20 marzo scorso davanti al giudice per le indagini preliminari Andrea Galanti che ha accolto la richiesta della procura e archiviato la denuncia della Consulta provinciale antifascista per i fatti avvenuti al cimitero di Ravenna nell’agosto del 2020 e del 2021.

Come si ripeteva e continua a ripetersi annualmente da oltre quindici anni, una trentina di simpatizzanti di realtà dell’estrema destra parteciparono all’appuntamento organizzato dall’Anai (associazione nazionale arditi d’Italia) per ricordare il ravennate Ettore Muti, esponente del partito fascista di cui fu anche segretario per una breve parentesi, ucciso a 41 anni a Fregene nel 1943 in circostanze mai del tutto chiarite. Dopo un breve corteo e la recita del “Padre nostro”, il momento centrale della cerimonia è quello che viene indicato come la cosiddetta “chiamata al presente”: una voce singola grida “Camera Ettore Muti” per tre volte e altrettante volte il gruppo in coro risponde “Presente”.

Antifascisti Protesta Cerimonia Muti

Protesta di un drappello di antifascisti contro la rievocazione del gerarca ravennate Ettore Muti (foto Massimo Argnani)

L’esposto presentato dalla Consulta, così come fatto anche negli anni precedenti, contesta la violazione della legge Scelba che nel 1952 introdusse il reato di apologia del fascismo. Lo spiega meglio Andrea Maestri, l’avvocato che rappresenta la Consulta di cui è anche vicepresidente: «Non ci pare ci siano dubbi se si legge l’articolo 4 dove si vieta la pubblica esaltazione di esponenti del disciolto partito fascista». L’interpretazione della procura, accolta dal gip, invece è di non ritenere applicabile la legge 645/1952 se non vi è pericolo concreto di ricostituzione del partito fascista. «A nostro avviso – replica Maestri – il coagulo di quelle persone da varie parti d’Italia è una manifestazione pericolosa che si richiama a un’ideologia totalitaria e ha una finalità intrinseca di proselitismo».
Pur non condividendo la decisione del tribunale, l’avvocato sottolinea la soddisfazione per aver portato i fatti davanti a un giudice per la prima volta: «In passato i nostri esposti hanno imboccato binari morti fin dal primo momento in cui venivano consegnati alla procura. Ora qualcosa è diverso e si comincia a voler approfondire certi episodi».

La battaglia della Consulta contro l’adunata di nostalgici avrà quasi certamente una nuova puntata dopo l’estate. È infatti ipotizzabile una nuova udienza in cui si discuterà l’archiviazione decisa lo scorso dicembre da un altro gip (Sabrina Bosi) per la cerimonia di agosto 2022. Per un errore in cancelleria, l’opposizione della Consulta non è stata notificata al giudice competente e non è stata quindi fissata l’udienza. «Abbiamo fatto ricorso per un vizio di legittimità – dice Maestri –. Mi aspetto che tutto torni davanti un altro giudice per discutere nel merito la decisione di opposizione. Chiediamo che si celebri un processo per arrivare a un giudizio, come successo in altri tribunali italiani che hanno pronunciato sentenze di condanna».

Braccio teso e maglietta del Duce: due indagati per la legge Mancino

La procura è invece intenzionata a processare due dei partecipanti a quelle adunate per violazione della legge Mancino del 1993: uno alzò il braccio destro e l’altro indossava una maglietta con la scritta “Onore e fedeltà al Duce”. La legge Mancino sanziona e condanna frasi, gesti, azioni e slogan aventi per scopo l’incitamento all’odio, l’incitamento alla violenza, la discriminazione e la violenza per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali.

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