Un invito al sindaco e a chi amministra Ravenna per dare finalmente alla città una strategia di sviluppo urbanistico. È quello che arriva dall’architetto Emilio Rambelli, fondatore ormai 25 anni fa di Nuovostudio insieme a Gianluca Bonini, da noi intervistato. «Dal punto di vista urbanistico e dello sviluppo, Ravenna non ha seguito un progetto unitario, in questi anni – è il punto di partenza della riflessione di Rambelli -. I miei colleghi da fuori la chiamano la città dei supermercati. E d’altronde in questi anni abbiamo assistito quasi esclusivamente a espansioni immobiliari e a progetti legati alla nascita di nuove zone commerciali. Basta andare a Rimini, invece, per vedere quanto la politica possa “ribaltare”, in senso positivo, una città. In pochi anni hanno rifatto il lungomare, sistemato il centro storico, rigenerato l’area del ponte di Tiberio. Coinvolgendo architetti e professionisti esterni. A Ravenna negli ultimi trent’anni, tolta Marinara, cosa abbiamo fatto? Piazza Kennedy? Credo sia arrivato il momento di fare investimenti pubblici che debbano essere anche un volano economico per il territorio, creando valore urbano , e non destinare milioni di euro solo per uffici comunali o impianti sportivi».
L’architetto Rambelli prova a indicare tre fronti di lavoro. Il primo è legato al tanto discusso palazzetto dello sport, con i lavori in clamoroso ritardo e problemi tecnici di difficile risoluzione. «Siamo sicuri che sia il caso di finirlo? – dice provocatoriamente, ma neanche tanto, Rambelli – Ci conviene davvero continuare ad andare avanti con un’opera mal pensata, che avrà sicuramente anche costi enormi di gestione? Magari, piuttosto, fermiamoci un attimo e proviamo a capire se è ancora possibile lasciarlo aperto. Io, da architetto, guardando il cantiere, ho avuto delle idee, delle suggestioni. Penso allo stadio municipale di Braga, in Portogallo (dell’architetto De Moura, ndr) per esempio, Potrebbe diventare un’arena estiva, magari coperta con dei tendaggi, oppure impreziosita con schermi a Led. Sarebbe bello cambiare approccio: non tutto quello che è stato deciso in passato deve essere “necessariamente” portato avanti se si valuta che è inattuale».
E a proposito di stadi, secondo Rambelli va rilanciato il tema dello spostamento del Benelli. «Già negli anni novanta era previsto dai piani regolatori di spostare lo stadio. Si può ipotizzare l’area del quartiere San Giuseppe, o la zona del Cinemacity, o altre di pubblico interesse . Un progetto da realizzare con l’ausilio del privato, magari in project financing. Il Comune si ritroverebbe con alcuni isolati da riprogettare dove ora c’è lo stadio, penso a un parco, a servizi pubblici, non solo residenziale. Penso alla Potsdamer Platz di Renzo Piano, a Berlino: a Ravenna si potrebbe fare qualcosa del genere, in piccolo. Ripensare il quartiere coinvolgendo architetti, dando lavoro ad aziende del territorio e migliorando la vita ai residenti. Ma serve un chiaro indirizzo “politico” dal pubblico, dal Comune».
L’ultimo aspetto che tocca Rambelli è quello della tanto attesa riqualificazione della darsena di città. «Lo sappiamo, ci sono tanti proprietari privati. Ma l’ex dogana è pubblica e il Comune non ha trovato altro di meglio che metterci i vigili urbani (doveva essere una sistemazione temporanea, ndr). Il pubblico ha invece il dovere di creare lì un grande attrattore, per esempio una biblioteca di quartiere, o uno spazio per i giovani. Per non parlare del vicino Sigarone, ancora abbandonato. Il Comune dovrebbe parlare con la proprietà e trovare il modo di prendere in mano il Sigarone, farne quella piazza coperta di cui parlava Barattoni in campagna elettorale. Potrebbe essere il nuovo Pop Up, un luogo che rivitalizzerebbe tutta la zona. È questo quello che credo debba fare la politica: governare davvero, prendere decisioni qui e ora, non solo “amministrare” decisioni del passato».
L’ultima considerazione è per il mancato coinvolgimento degli architetti nelle grandi opere della città, palazzetto in primis. «Culturalmente, non è possibile che un nuovo palazzetto sia stato progettato dall’ufficio del Lavori pubblici del Comune, che si dovrebbe invece occupare della manutenzione della città, spesso invece tralasciata. È necessario tornare all’epoca in cui Ravenna era un esempio per il coinvolgimento degli architetti nelle opere pubbliche, tornare al tempo dei concorsi, coinvolgere i giovani professionisti e non che operano in città».



