Annaud a Ravenna: «All’inizio non volevo Sean Connery nel mio “Il nome della rosa”»

Il regista premio Oscar ha inaugurato la XVII edizione del Nightmare Film Fest, tra aneddoti curiosi e molte risate

Premio Oscar nel 1976 con Bianco e nero a colori, il regista Jean Jacques Annaud, che vanta nella sua filmografia titoli quali Il nome della rosa e Sette anni in Tibet, si è rivelato essere non solo un professionista della serie A cinematografica, ma anche un personaggio alla mano, disponibile e cordiale. Qualità emerse nell’incontro pomeridiano tra il regista e i giornalisti di ieri (30 ottobre) al Palazzo dei Congressi,  qualche ora prima di quello con il pubblico per l’apertura ufficiale del Nightmare Film Fest di Ravenna (che ha omaggiato il regista con il premio “Anello d’Oro Special Edition” realizzato dall’orafo Marco Gerbella). Un’ora e mezza di dialogo che ha fatto emergere non pochi aneddoti sulla carriera di Annaud, dai più succosi, come i retroscena de Il nome della rosa, ai più nostalgici, come i suoi esordi e l’incontro con i grandi registi del passato, tra cui Fellini.

Inevitabile il riferimento alle serie tv e e alle piattaforme di streaming, che hanno cambiato il modo di fare cinema e hanno costretto molti registi ad adeguarsi al tempi che corrono, modificando sia le tecniche di produzione sia il target di pubblico a cui rivolgersi. Annaud, che di recente ha diretto la ministerie statunitense La verità sul caso Harry Quebert,  basata sull’omonimo bestseller, si è detto divertito dall’esperienza e pronto a ripeterla in futuro.

Grande spazio è stato dato  al film che più di tutto lo ha reso noto al grande pubblico, Il nome della rosa. «Quando ho letto il libro ho pensato che nessuno sarebbe andato a recuperarlo dopo aver visto la pellicola. Ma poi il romanzo ha cominciato a vendere e per me è diventato un problema, perchè questo aumentava anche l’aspettativa nei confronti del mio film». Nemmeno la fase del casting è stata semplice, con molti che gli suggerivano il nome di Sean Connery e lui che proprio non voleva saperne di dare allo 007 la parte di un monaco. Poi però il signor Connery si è presentato per un’audizione e la parte gli calzava a pennello: la scelta è stata quasi obbligata. «Quando l’ho detto a Eco si è messo le mani nei capelli per la disperazione, ma dopo aver visto il film mi ha abbracciato e mi ha confessato:”La cosa di cui avevo più paura – la scelta dell’attore – è quella che ti è riuscita meglio”. È stato toccante».

Annaud ha sempre dichiarato di non aver particolarmente amato il cinema americano da ragazzo, questo perchè gli sembrava che film come i western semplificassero un po’ troppo la realta in buoni e cattivi, aspetto che invece non riscontrava, ad esempio, nel cinema giapponese, o in quello italiano. «Spesso ho avuto la possibilità di incontrare registi italiani e di dire loro quanto avessero influenzato il mio cinema. Così è capitato anche con Fellini».

I momenti più divertenti hanno riguardato la gestione degli animali sul set, protagonisti di molti film del regista francese, da L’orso a L’ultimo lupo passando per Due fratelli. «È lo stesso principio che si applica quando si lavora con i bambini, con l’unica differenza che questi non possono ucciderti» ha esordito, accolto da un sottofondo di risate. «Il trucco è metterli nella giusta situazione affinché agiscano spontaneamente come tu desideri. Questo in realtà vale anche per gli attori “umani”».

E a chi gli chiede un consiglio per aspiranti registi, risponde:«Fidatevi del vostro istinto e credete in quello che fate». Capita spesso che i registi vogliano fare a tutti i costi un film campione d’incassi e poi finiscano per prendere una sonora batosta quando non succede. Ma se tutto quello che si fa è frutto di un’idea e di uno scopo, anche se dovesse andare male, rimarrebbe comunque la spinta per andare avanti, e magari fare meglio. «Come è capitato a me: il mio primo film fu un flop, poi però ho vinto l’Oscar».

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