venerdì
26 Settembre 2025
Rubrica L'opinione

Quei ragazzi che, almeno, si indignano

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Quello che non avrei mai voluto scrivere è un editoriale sulla Palestina. In primis perché non ne ho le competenze, ci mancherebbe. E poi perché si rischia di essere bollati come filo palestinesi o filo israeliani, a seconda, come se non esistessero più le posizioni sfumate, come succede per ogni caso che porti dietro anche la politica.

Ma è proprio l’effetto tifo, in casi come questo, che mi fa invece abbozzare un commento, stimolato in particolare dal sempre più delirante mondo dei social. Davvero – cari utenti del web – siamo arrivati al punto in cui è diventato normale insultare chi scende in piazza per manifestare il proprio sdegno verso l’immobilità delle istituzioni di fronte a un massacro (o un genocidio, come lo ha definito recentemente una commissione internazionale indipendente delle Nazioni Unite)? La colpa di chi è sceso in piazza sarebbe quella di non protestare per altri massacri nel resto del mondo, o di perdere tempo perché tanto non conta nulla, con le solite battute telefonate su Netanyahu spaventato dal blocco del ponte mobile di Ravenna.

Siamo tutti davvero così incattiviti da non riuscire neanche ad apprezzare il ritorno in strada di ragazzi così giovani? Che certo, saranno stati contenti di saltare la scuola; certo, alcuni, se non la maggior parte, non sapranno neppure dove si trova Gaza. Ma magari è stato uno spunto per approfondire, per cercare di capire, un modo per far riflettere per qualche secondo chissà anche qualche automobilista che si è trovato bloccato nel traffico (vi svelo un segreto: scioperare dovrebbe proprio avere come obiettivo quello di creare disagi).

E invece no: meglio «che andate ad aiutare i nostri alluvionati», dice il popolo del web, come se i giovani non fossero stati i primi ad aiutarli, quando ce n’era bisogno. Oppure, certo, meglio lamentarsi della violenza delle manifestazioni di Milano, come ha fatto la destra, che spesso ironizza sull’inutilità di parlare di Gaza e poi invita a fare un minuto di silenzio per Charlie Kirk (tra le trovate più strumentali, a mia memoria, da alcuni anni a questa parte).

Lungi da me fare il Tosa o il Tommasi “de noantri” (rabbrividisco), che anche quello è tifo da stadio da cui cerco di restare il più lontano possibile, ma davvero per una volta faccio fatica a guardare con cinismo a dei ragazzi che, una volta tanto, si stanno indignando. O a chi addirittura è partito su una barca in direzione Gaza, consapevole dei rischi (al telefono con il ravennate della Global Sumud Flotilla, durante l’intervista delle scorse settimane, non se ne poteva non apprezzare il sincero trasporto, indipendentemente da quello che si può pensare del progetto). Per il mondo dei social, semplicemente, se l’è andata a cercare. Meglio invece camminare in silenzio per chiedere più sicurezza in città, direbbero i commentatori nella nostra pagina Facebook…

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