La Cassazione ha imposto a Eni di pagare 7 milioni di Imu arretrata ai Comuni di Cesenatico e Crotone per le sue piattaforme estrattive in mare. Secondo gli ermellini queste strutture sono equiparabili agli immobili sulla terraferma, quindi accatastabili.
Ci sono altri precedenti: la prima pronuncia risale al 2016 per alcuni impianti al largo di Pineto e Termoli. Da allora tutte le amministrazioni con piattaforme situate in acque di competenza territoriale, ovvero entro le 12 miglia dalla costa, hanno iniziato a recapitare a Eni delle maxi cartelle per ottenere l’imposta municipale. Le cifre riguardano gli anni dal 2012 (quando è stata introdotta l’Imu) al 2019. Solo in Romagna, il cane a sei zampe ha un conto di oltre 100 milioni di euro. Poi nel 2020 il governo Conte bis ha introdotto l’Imposta immobiliare sulle piattaforme marine (Impi), lasciando solo un terzo del gettito agli enti locali e il resto allo Stato.
Eni, che ha chiuso il 2024 con oltre 5 miliardi di utile, anziché pagare l’Imu ha fatto ricorso contro quasi tutti i Comuni, trascinandoli in lunghi contenziosi che si stanno concludendo in questi mesi. Cesenatico attende la pronuncia della Corte tributaria dell’Emilia-Romagna per altri 14,8 milioni, Rimini ha un conto di 20 milioni per sei piattaforme su cui la Cassazione dovrebbe esprimersi entro fine anno. Le amministrazioni non vedono l’ora di disporre di questo importante gettito per poterlo investire in opere pubbliche.
L’unica eccezione è Ravenna, dove la multinazionale ha deciso di patteggiare senza passare dalle aule giudiziarie. Nel 2018 ha siglato un accordo per 9,5 milioni all’anno dal 2012-2015, lo scorso novembre ha accettato di versare altri 43 milioni per il 2016-2019. Il conto del capoluogo bizantino è più salato, perché qui Eni possiede dieci piattaforme offshore entro le 12 miglia. Quei soldi, ha detto Michele De Pascale nei suoi ultimi giorni da sindaco, sono stati impiegati per (tentare di) costruire il nuovo palazzetto dello sport davanti al Pala de André e per cofinanziare gli interventi previsti dal Pnrr.
Restano alcune domande: perché Eni ha firmato un accordo solo col Comune di Ravenna e ha fatto ricorso contro tutti gli altri? Perché, nonostante l’orientamento della giurisprudenza sia consolidato nel darle torto, si rifiuta di pagare una cifra irrisoria per i suoi bilanci ma importante per le casse comunali? Infine: perché ha smesso di compensare l’impatto ambientale delle sue attività offshore a Ravenna? Lo prevedeva un accordo di collaborazione con Palazzo Merlato da 3 milioni all’anno, destinati soprattutto ai ripascimenti per attenuare l’erosione della costa ravennate, aggravata dalla subsidenza accentuata dalle estrazioni di metano. L’accordo esisteva dal 1993 e l’ultimo rinnovo risulta nel 2021, poco dopo il patteggiamento col Comune sull’Imu. Non sarà stato messo sul piatto per averli da una parte e toglierli dall’altra? A pensar male…