La stampa, l’orrore e le domande

Se durante i mondiali tutti diventano ct della nazionale, quando accade un fatto di cronaca tutti diventano neristi provetti. E così accanto alle parole di sdegno  per l’omicidio, anzi il femminicidio, di Giulia Ballestri e l’arresto del marito Matteo Cagnoni, accanto agli appelli a tacere o a parlare, non si sono risparmiate critiche alla stampa tutta. In particolare c’è chi si è lamentato per la pubblicazione della notizia che la donna vittima di quell’inaudita ferocia aveva un amante, stava pensando di rifarsi una vita con un nuovo compagno. Come se questo servisse a dare un’immagine di lei meno “innocente”, quasi a offrire uno straccio di alibi al marito presunto assassinio. Nemmeno fossimo nell’Ottocento vittoriano. Ma in una società che vuole difendere le donne e contrastare il maschilismo imperante, questa idea non può passare. Avere un amante per una donna che si sta separando dal marito non può essere considerata una colpa e raccontare questo dettaglio non può di conseguenza costituire una macchia nella sua reputazione. Altrimenti staremmo tutti al gioco che diciamo di voler contrastare. Un gioco, quello della cultura maschilista, di cui questa donna è stata sicuramente vittima, per quanto nelle analisi che abbiamo letto in questo giorni ci è parso che sia stato troppo assente l’elemento della patologia individuale di un uomo che avrebbe non solo ucciso la moglie, ma anche distrutto la vita dei suoi stessi figli e in definitiva la sua stessa vita. A meno che non si voglia credere ai cattivi delle favole, infatti, è impensabile anche solo immaginare che il colpevole di un simile gesto possa tornare a una vita dignitosa, nonostante i soldi, nonostante la posizione sociale. Già, e questo è l’altro tema su cui naturalmente si è portati a riflettere. Parte della notizia sta proprio nel fatto che si tratta di una famiglia della Ravenna bene, di persone affermate professionalmente, senza apparenti problemi, che addirittura si erano attivate per devolvere fondi per Linea Rosa. Così diverse dai protagonisti di quei quotidiani fatti di cronaca che ci raccontano di donne picchiate da mariti ubriachi nelle periferie, talvolta stranieri, spesso in situazioni di disagio sociale. La storia di Giulia fa più paura a chi pensa di potersi considerare “al sicuro”, a chi pensa che lo studio possa rappresentare un antidoto efficace, a chi pensa che i figli nati in seno a famiglie come queste siano per forza privilegiati. Ecco, forse allora la  stampa che oltre a raccontare i fatti cerca di delineare un contesto può contribuire a rendere collettivo il dolore di una piccola comunità di provincia come Ravenna e anche suggerire nuovi interrogativi di fronte a un orrore che lascia sgomenti.

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