Le donne, le elezioni e il progresso

Alla fine le primarie il Pd non le farà. O forse sì. Di certo c’è che non ci saranno donne in lizza. Perfino l’unico nome femminile circolato in queste settimane, ossia Livia Molducci, ha fatto sapere che in realtà no, non se la sentirebbe di fare la prima cittadina. Poi ci sono quelli che vorrebbero tanto una candidatura al femminile, vedi quelli della sinistra di Ravenna in Comune, e però intanto alla loro festa di donne sul palco se ne vede a malapena una. I due animatori della vita social, il grillino e l’imprenditore, ossia Vandini e Donati, due uomini. Nel campo del centrodestra pure al momento non paiono emergere figure pronte a mettersi in gioco. E tutto questo sembra ormai un po’ dato per assodato, è così, non è colpa di nessuno, forse non vale nemmeno più la pena parlarne. Perché, ci si sente dire, anche quando ci provano, poi le donne mollano: perché sono più intelligenti e capiscono che non ne vale la pena, perché scoprono che la vera essenza della vita è nella famiglia o negli affetti, perché la politica è per stomaci forti e livelli di testosterone alto. Se ne sentono un po’ di ogni. E la sensazione è che la situazione sia fin peggiore di cinque o dieci anni fa. Allora, perlomeno, si poteva ancora sperare che le cose migliorassero. Oggi è difficile perché qualcosa qualcuno ha anche cercato di farlo intanto: una lista di sole donne alle scorse amministrative, la doppia preferenza, la nascita di una casa delle donne, varie lodevoli iniziative dell’assessorato  alle pari opportunità sulla divisione del carico di lavoro donne/uomini in casa. Ci vantiamo di avere servizi alla persona eccellenti proprio per permettere alle donne di lavorare. Abbiamo convegni sulle donne lavoratrici, imprenditrici, madri, sulla salute delle donne. Abbiamo addirittura un organo preposto a censurare immagini che possano ledere l’immagine della donna. Femministe di sinistra, femministe islamiche, femministe giovani e meno giovani. Benissimo. Ma ci si potrebbe chiedere a cosa serva tutto questo se poi, quando si fa ora di scegliere i candidati per guidare la città per i prossimi cinque se non dieci anni, di donne non solo non se ne vedono in prima fila, ma in molti casi nemmeno in seconda o in terza. Sembrano calare più che crescere, numericamente. Ora, c’è solo da sperare che non sia vero quello che ci siamo raccontati per anni: e cioè che avere delle donne nelle stanze dei bottoni può essere utile a raggiungere decisioni più equilibrate e di maggior successo. Oppure tocca sperare che a casa i mariti si consultino con mogli, madri, compagne e sorelle. Difficile chiamarlo progresso.

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