Le parole, le cose e il vaniloquio

Fausto PiazzaQual è la consistenza, il valore delle parole che scriviamo rispetto a ciò che conosciamo e vogliamo esprimere? La domanda mi ha intrigato recentemente dopo che ho letto – su queste pagine – l’intervista a Carofiglio sul suo ultimo libro Con parole precise e sull’uso corretto del linguaggio per aderire alla realtà e alla verità. A proposito mi ha fatto specie, per esempio, il microscazzo politico, in Comune a Ravenna, fra il consigliere di opposizione Ancisi e l’assessore (donna) Morigi, all’insegna del termine “bufala”, che ha avuto un’esagerata esposizione mediatica. A una argomentata denuncia di Ancisi lei ha risposto che erano bufale, cioè affermazioni false o ingannevoli, lui ha replicato che «bufala sarà lei». Cioè mammifera ruminante. L’attribuzione nominale e il contesto (vedi la grammatica e la semiotica) non lasciano dubbi: il beffardo consigliere l’ha buttata sarcasticamente sul personale. Ci si può arrampicare sulle parole ma poi esiste la forza di gravità del senso (comune) che ci riporta sempre per terra. Il vaniloquio è dilagato su social network e commentari online che sono veicolo del caos che avanza nel varco fra le parole e le idee, il peso di ciò che si dice e la verità dei fatti. Negli sterminati palinsesti di Facebook, Twitter, blog e spazi dei siti giornalistici partecipati dai lettori, scorrono fiumi di parole alimentati da nubifragi di idee confuse e contraddittorie, senza fondamenta e senza memoria. La parole sono ridotte ad arnesi per simulare o dissimulare, offendere o esaltare, sempre meno per svelare e chiarire.
Come nel linguaggio della politica o dell’economia, dove la ripetizione di certi termini è talmente frenetica da svuotarli di ogni significato attinente la realtà: le parole come fantasmi o zombi di cose e concetti. Oppure le parole aliene di mondi separati dalla vita normale, come la stucchevole retorica giuridica e l’incomprensibile pro­sa delle notifiche burocratiche. La Giustizia e l’Am­mini­stra­zione Pubblica dovrebbero essere al servizio del po­polo che però (anche se istruito) non ci capisce un tubo.
«Chi pensa male parla male vive male» – urla in un suo film Nanni Moretti in faccia a una giornalista un po’ sciocca   – «Le parole sono importanti!». Giusto. Perché vanificarle o sprecarle? Sulle responsabilità e il ruolo dell’informazione nel colmare lo scarto fra le parole e le cose, e restituire senso alla scrittura che indaga la realtà e ricerca la verità, c’è l’occasione di ascoltare testimonianze del giornalismo d’inchiesta e di denuncia di im­pronta civile, nel festival “Il grido della farfalla” che presentiamo su questo numero nell’inserto centrale.

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