L’emigrazione dei musei

Fausto PiazzaDa tempo si discute dei cervelli in fuga: le teste d’uovo e i giovani più creativi che emigrano. A cui si aggiunge la delocalizzazione delle imprese e il trasferimento dei capitali. Riflettendo su quanto è successo recentemente al Museo dell’Arredo Contempora­neo di Russi, ora allestito per il Salone del Mobile di Milano e destinato lì a restare anche per l’Expò, vien da dire che qui da noi si soffre anche una migrazione dei cosiddetti “giacimenti culturali”. La collezione aveva una bella sede (fra l’altro con un padiglione progettato da Ettore Sottsass) lungo la San Vitale ed era stata ideata e realizzata da Raffaello Biagetti – singolare figura ravennate di intellettuale e imprenditore – nel lontano 1988, con l’aiuto di maestri architetti come Koening, Chigiotti, Alison, Castiglioni e Gae Aulenti che ne avevavo condiviso l’impostazione, storica e didattica, ancorché la bellezza. Questo straordinario unicum nazionale, in fondo non se l’è mai filato nessuno, fra i tanti enti e istituzioni che potevano affiancare la proprietà e valorizzarlo. Scomparso l’artefice nel 2008, questa eccellenza espositiva del design si è definitivamente arenata nell’indifferenza. Ora gli eredi, in primis il figli di Raffaello, Alberto e Anna Biagetti, l’hanno messa a disposizione di un’organizzazione che, oltre a Milano, ha intenzione di portarla in giro per il mondo, abbandonando definitivamente Ravenna e i dintorni.
Sebbene con caratteristiche ben diverse, stessa sorte è accaduta al Museo degli Strumenti Musicali Meccanici creato e fondato dall’imprenditore alfonsinese Marino Marini. Vincolata dallo Stato nel 1985, dopo anni di chiusura al pubblico, nel 2007 la collezione è stata acquisita dalla Fondazione Carisbo di Bologna ma purtroppo non è più stata sistemata nè restituita alla collettività. Per altri versi, il ragionamento potrebbe valere anche per la storica Gipsoteca dell’Accademia di Belle Arti (raccolta fra metà 800 e primi 900) che nei decenni ha subito incuria, scarsa attenzione e una diaspora in varie sedi ravegnane (e oltre), ancora tutte da indagare.
Certo, ci sono problemi più gravi, ma almeno per chi ha a cuore questi beni, e li reputa un valore pubblico, il rammarico è inevitabile. Forse questi destini si sono consumati solo a causa di una serie di sfortunati eventi o di inconsapevoli distrazioni. Sicuramente abbiamo perso eredità preziose della storia e del patrimonio culturale locale: tesori di provincia ma non provinciali. E probabilmente abbiamo trascurato anche qualche opportunità economica. Ammesso che con la cultura, e il turismo ad essa intrecciato, si sia convinti di poter mangiare.

Ravvena&Dintorni: l'editoriale
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