Ma perche’ nascono i comitati del no?

I detrattori parlano sempre di “comitati del no”, che impediscono il progresso e lo sviluppo e il benessere. E se ci fossero stati i comitati del no negli anni Cinquanta, dove saremmo adesso? Non si può mica deindustrializzare il Paese. A cui si accompagna spesso il gettonatissimo «la decrescita è sempre infelice», quasi a sbeffeggiare le teorie economiche della cosiddetta “decrescita felice” promosse da pensatori come Serge Latouche. Eppure, i comitati e le associazioni e i movimenti continuano a crescere, i cittadini a organizzarsi al di fuori dei partiti e dei sindacati spinti in genere dalla voglia di preservare ciò che resta dell’ambiente in cui vivono. È un fenomeno che attraversa l’intero Paese e che non risparmia la provincia di Ravenna. In questo numero abbiamo cercato di raccontare i principali, il che ovviamente non significa che sposiamo le loro tesi. Ed è certamente vero che ogni questione va approfondita a sé, ogni progetto pone problemi diversi ed è a uno stato di avanzamento diverso. Quello che abbiamo rilevato che accomuna se non tutti, molti, è la richiesta di informazioni, la percezione di una scarsa trasparenza, di qualcosa che non viene detto del tutto. A volte la sensazione è giustificata, a volte meno. Certo, mentre si diffonde il metodo della partecipazione dei cittadini ai programmi elettorali o alle progettazioni dei quartieri, fa specie pensare che la popolazione di Conselice abbia scoperto dell’esistenza di un progetto come quello di Matrix a permessi ormai concessi. A Cervia, il grattacielo Pentragramma è rimasto a lungo avvolto in un vago alone di mistero. E così il distacco tra cittadini e rappresentanti rischia di diventare sempre maggiore anche nelle periferie, le persone rischiano di non sentirsi rappresentate né tutelate e decidono di farlo organizzandosi autonomamente. Quando poi arriva la campagna elettorale, i nodi tornano al pettine e succede che anche i candidati dei partiti che hanno fino a quel momento governato sono costretti a prendere le distanze dall’operato di chi li ha preceduti, senza poterlo però sconfessare. Tutti si devono comunque confrontare con  un problema di credibilità generale in tutti gli ambiti: chi può davvero rassicurare sui possibili rischi? Chi ha ormai, nell’epoca dell’orizzontale e del trasversale, in un Paese in cui sono all’ordine del giorno storie di corruzione o collusione, la capacità di essere ritenuto vero arbitro super partes anche quando lo è davvero? Nel dubbio, finisce per prevalere il principio della cautela. E però, nel dubbio, si rischia anche la paralisi. Il punto di equilibrio sta probabilmente da qualche parte lì in mezzo, ma sembra sempre più difficile individuarlo.

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