Il contrasto alla violenza di genere è una campagna aperta in cui non si finisce mai di imparare qualcosa. Qualche giorno fa abbiamo scoperto che una donna può dire a un medico che considera il suo compagno capace di ammazzarla, perché è geloso e negli ultimi sei mesi sono aumentati gli episodi di violenza subiti, e questo non fa scattare il Codice Rosso, la legge del 2019 nata proprio per proteggere le vittime. E non scatta nemmeno se le dichiarazioni di quella donna vengono fatte in un pronto soccorso dove si è presentata con un dito rotto e ha detto che era la conseguenza di una lite con il compagno e non l’ennesima finta caduta per le scale. Lo abbiamo imparato perché Pamela Genini è stata uccisa a coltellate a metà ottobre a Milano. Un anno prima la lite con la frattura alla mano a Cervia. Di sicuro si può dire che qualcosa non ha funzionato.
Se le procedure e i protocolli sono stati seguiti correttamente ed è giusto che non si attivasse il Codice Rosso allora bisogna chiedersi a cosa serve la legge. Perché se un dito rotto e una accusa diretta non sono una cosiddetta “red flag”, allora diteci qual è.
Se invece c’è stata una falla nel percorso, allora bisognerà capire perché e dove. Non a caso la procura di Bergamo, provincia dell’ospedale dove è stata medicata Genini, ha aperto un’indagine.
Qualche dubbio che la procedura fosse perfettibile, per la verità, c’era già venuto anche con la morte di Ilenia Fabbri a Faenza nel 2021. Lei aveva avvisato amici, associazioni femministe, forze dell’ordine, avvocati. Addirittura aveva previsto le modalità della sua morte: non per mano diretta dell’ex marito, ma da un sicario. E così è andata. Se l’unica garanzia per una potenziale vittima di femminicidio è limitare la libertà di movimento del potenziale femminicida, allora quanto, quando e come è legittimo limitarla? Lo ha detto anche un’avvocata, esperta in materia, che abbiamo intervistato: «Non si può tenere in carcere chiunque abbia una denuncia». Perché la violenza di genere è un’emergenza da affrontare, ma non per questo è un contesto esente da errori giudiziari, fraintendimenti e anche false denunce. Ma anche per una questione di spazi. Considerando qualunque tipo di reato, la polizia di Stato in provincia di Ravenna, nel 2024, ha eseguito 175 arresti. I casi di Codice Rosso che arrivano alla procura di Ravenna in un anno sono circa seicento. Viene la triste sensazione che la violenza di genere finisca per sgusciare tra le maglie di uno Stato che si basa sul garantismo del diritto e non sulla legge del taglione. Se l’unica via d’uscita è il cambiamento culturale, ci saranno ancora vittime da contare.


