«Le donazioni ravennati di sangue non coprono il fabbisogno locale»

I dati annuali Ausl: 27mila sacche necessarie, 24mila raccolte Il sistema centralizzato della Romagna gestisce i flussi settimanali

La provincia di Ravenna non è autosufficiente per il fabbisogno di sangue per i cittadini del territorio dove annualmente servono circa 27mila unità ma le donazioni volontarie si fermano a circa 24mila (in Romagna si arriva a 56mila, in Italia in totale a 2,3 milioni) di cui poco più della metà sono raccolte nei punti Avis sul territorio. «La copertura ravennate è garantita dalle donazioni del resto della Romagna con l’Ausl unica che gestisce un sistema sangue unico centralizzato», spiega la dottoressa Ivana Tomasini, direttrice del servizio trasfusionale delle strutture ospedaliere ravennati (Ravenna, Faenza, Lugo) e coordinatrice proprio del sistema sangue dell’area vasta (a Lugo è stato recentemente avviato un ambulatorio trasfusionale che amplia la rete a disposizione dei cittadini).

Dopo i necessari test le sacche finiscono in una emoteca centralizzata, una sorta di grande frigorifero che poi le ridistribuisce agli ospedali. L’integrazione in un’unica organizzazione, incentrata a Pievesestina (Cesena) in quella che viene chiamata officina trasfusionale, ha permesso di ottimizzare le risorse e migliorare la qualità del servizio. «Innanzitutto per le forniture di strumenti e materiali abbiamo fatto una gara unica invece di quattro gare e presentandoci come Romagna abbiamo una dimensione tale da poter avere rapporti con i migliori operatori sul mercato. E ora abbiamo risorse all’avanguardia che sorvegliano tutta la filiera in modo che per ogni sacca di sangue ci sia la tracciatura dall’inizio alla fine capace di segnalare anche la temperatura durante il trasporto».

Nel tentativo di raggiungere una autosufficienza anche a livello provinciale, le leve da azionare sono state quelle del consumo (ridotto negli anni) e della raccolta (da aumentare). Ma sul primo fronte si è ormai giunti al massimo della riduzione: «Il sangue viene considerato come una sorta di farmaco salvavita, non certo come un cosmetico da usare con leggerezza. Le tecnologie chirurgiche moderne consentono di ridurre al minimo lo spreco negli interventi. Sarà difficile si possa ridurre ancora». Perciò non si può fare altro che lavorare sul fronte delle donazioni «cercando di sensibilizzare la popolazione facendo capire l’importanza del gesto, la necessità del sangue per la cura perché non è qualcosa che si possa creare chimicamente in laboratorio come si fa per altri farmaci. Dobbiamo far capire che è anche un modo per un controllo medico costante. Su questo fronte l’aiuto dell’associazionismo è fondamentale e i volontari sono essenziali per la sanità».

Il sangue ha tempi di conservazione limitati (42 giorni per i globuli rossi, 4-5 per le piastrine) e le donazioni non si possono ripetere prima di un certo intervallo di tempo (tre mesi per gli uomini) e lasciare che l’afflusso delle donazioni dipenda solo dalla volontà dei singoli comporterebbe il rischio di periodi di carenza o di accumulo. E così la nuova frontiera dell’autosufficienza è la donazione su prenotazione incrociando la chiamata del volontario con l’esigenza sanitaria: «Il progetto è quello di chiamare i donatori in base ai bisogni. Tutte le settimane viene valutato lo stato dell’emoteca a Pievesestina, cerchiamo di programmare la raccolta settimana per settimana in base al gruppo sanguigno». Ma anche coprendo i buchi del calendario: «In agosto con le ferie le donazioni calano poi in settembre c’è un picco al rientro e così questa disparità si ripercuote tre mesi dopo e per questo invitiamo alla prenotazione».

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