«Siamo sotto attentato, ci sparano» Le parole degli ostaggi ravennati a Tunisi

Quattro coppie erano al museo con i terroristi. Tre ore da incubo «Ora vogliamo continuare la vacanza per dimenticare la paura…»

Sono in realtà almeno otto i ravennati che erano tra gli ostaggi dei terroristi al museo del Bardo di Tunisi. Quattro coppie in crociera sulla Msc Splendida che stavano visitando la capitale tunisina nel giorno sbagliato. Insieme a Oriana Serrandrei e Giampaolo Mazzetti (di cui abbiamo parlato nell’articolo tra i correlati) c’erano infatti Alessandra Gatti con il marito Enzo Minguzzi, Gabriele Capelli e la moglie Patrizia Gentili, Paola Melandri e Giuliano Casadei.

«Attorno alle 13.30 ho ricevuto una chiamata da mia madre – ci racconta Giulia Minguzzi, figlia di Enzo e Alessandra – che mi ha detto: “Siamo sotto attentato, ci stanno sparando, ti richiamo tra poco”. La lascio immaginare il mio stato d’animo…». Fortunatamente i genitori, così come gli altri sei ravennati, non sono tra le vittime (al momento oltre venti) e neppure i feriti (una cinquantina) dell’attentato, rivendicato dall’Isis.

A raccontarci come è andata è la stessa Alessandra Gatti. «Eravamo entrati al museo da pochi minuti ed eravamo al piano terra, quando abbiamo visto scappare delle persone provenienti dai piani superiori. Poi abbiamo sentito gli spari, fortissimi, credo da mitragliatrici. Di guardia noi abbiamo visto solo un poliziotto, poveretto, che ha cercato di tranquillizzarci insieme agli addetti del museo. Non potevamo scappare, perché i terroristi sparavano alle persone che cercavano di uscire, così ci siamo rifugiati tutti insieme, eravamo diversi gruppi in quel momento a visitare la struttura». Attimi di terrore, nei quali hanno però trovato il tempo di scattare alcune fotografie da inviare ai famigliari in Italia, per cercare di tranquillizzarli. E gli attimi sono diventati ore. «Abbiamo aspettato, senza vedere mai di persona i terroristi, fino a quando, quasi tre ore dopo, non sono arrivate le forze armate e si è creato una sorta di cordone di polizia che ci ha permesso di uscire, di scappare tra rumori fortissimi, spari che a me sembravano granate». Gli otto ravennati sono così stati ospitati insieme agli altri ostaggi nel palazzo del Governo a pochi metri dal museo. «Hanno cercato di tranquillizzarci in ogni modo, con noi c’erano tanti bambini, nessuno ha parlato di feriti o morti, l’abbiamo scoperto dopo…».

I ravennati sono poi tornati a bordo della loro nave, che al momento in cui siamo al telefono con la signora Gatti (nella serata di mercoledì, 18 marzo), è ancora attraccata al porto di Tunisi. «Siamo rimasti delusi dall’assistenza a bordo della nave, sembrava che fossimo rientrati da una gita. Non sappiamo quante persone mancano, non sappiamo quando ripartiremo. Però la nostra intenzione è quella di continuare la vacanza, proseguire per Barcellona, per cercare di dimenticare questo brutto spavento».

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