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    Categoria: società

Quella piattaforma crollata a 30 metri è diventata un’oasi protetta FOTO

La storia del Paguro: nel 1965 l’incidente con tre morti: il relitto sul fondale ha formato un ambiente che attira 3mila sub all’anno

La scelta di lasciare sul fondo del mare il relitto di una piattaforma metanifera crollata dopo un incendio fu tutt’altro che figlia di una coscienza ambientalista, non proprio così marcata nel 1965, ma col senno di poi si può dire che sia stata quanto di più lungimirante si potesse fare. È la storia del Paguro, la piattaforma Agip inabissatasi per le conseguenze di un tragico rogo in cui morirono tre delle 38 persone a bordo e interessata da una metamorfosi per opera della natura che in cinquant’anni l’ha trasformata in uno dei contesti ambientali marini più unici che vi siano nelle acque italiane e non solo. A dodici miglia dalle coste ravennati, nel tratto tra Marina di Ravenna e Cervia, a una profondità di trenta metri, un’area di circa un km quadrato è l’unico sito di importanza comunitaria (Sic) in mare riconosciuto dall’Unione europea. La carcassa del gigante ha fatto sì che un fondale naturalmente composto da fango e limo si sia evoluto come se fosse roccioso accogliendo specie viventi altrimenti impossibili da vedere nelle nostre acque e offrendo spunti per ricerche scientifiche ma anche enologiche.

Dal 1995 la gestione del sito Paguro è affidata all’omonima associazione nata per mettere ordine in una situazione confusa: «Tra pescatori di cozze e subacquei nel periodo estivo si trovava di tutto da quelle parti – spiega Giovanni Fucci, presidente dell’associazione –. E allora invece di farsi la guerra si è deciso di regolamentare l’area. Gli accessi sono limitati, la permanenza è fissata, c’è una organizzazione». L’associazione che opera su base volontaria oggi conta circa sessanta associati, per lo più si tratta di circoli subacquei della Romagna, in media ogni anno nel periodo maggio-settembre vengono fatte oltre tremila immersioni (se ne contano 63mila in cinquant’anni) principalmente provenienti dal nord Italia ma anche veri e propri gruppi di affezionati che organizzano pullman dalla Svizzera o dalla Germania. Di solito a febbraio le prenotazioni per i weekend sono già tutte esaurite fino a ottobre. Una squadra di circa venti sub, qualificati e preparati, si offrono volontari per accompagnare chi non conosce il sito.

La parte più alta del relitto si trova a meno 10 metri, buona parte degli alloggi è collassata corrosa dall’ossido e correnti galvaniche, mentre il punto più profondo è a 33 metri sotto il livello del mare ed è costituito dal cratere formatosi con l’esplosione. Il relitto vero e proprio copre un’area di 200 metri per 200 ma a cavallo del 2000 nella stessa zona sono state adagiate anche le cosiddette gambe (acciaio pieno di cemento) di altre piattaforme dismesse per ampliare il sito.

«Con il passare degli anni si è creato un laboratorio vivente che altrimenti non esisterebbe. All’epoca dell’incidente nessuno si pose il problema del recupero, alla sensibilità ambientale non pensava nessuno. Poi negli anni Novanta ci si rese conto che si era formato qualcosa di ammirevole».

E da qualche anno il relitto Paguro è diventato addirittura una tenuta vitivinicola unica al mondo. Le bottiglie di vino vengono portate sul fondo e lasciate invecchiare dodici mesi finendo poi sul mercato a prezzi da 100 a 150 euro: «L’idea è stata di un enologo. Il primo esperimento andò male: la pressione a quella profondità fece saltare tutti i tappi e non trovammo più un goccio di vino. Sono stati studiati tappi speciali e le condizioni particolari di quasi assenza totale di luce e temperatura costante a 12 gradi fanno invecchiare il vino con risultati che gli esperti giudicano apprezzabili. Io mi fido di loro».