Nel laboratori di beni culturali alla ricerca del Dna perduto

Il prof Gruppioni racconta le indagini del centro di Antropologia fisica all’avanguardia in Italia, fra scheletri, mummie e analisi da CSI

Prof Gruppioni la Antropologia fisicaHanno identificato i resti del poeta quattrocentesco Matteo Maria Boiardo e scoperto troppo arsenico nel corpo di Pico della Mirandola. Hanno studiato le ossa di alcuni membri della famiglia Gonzaga e collaborato a dare un volto a Dante, mentre sui canali della Rai viene ancora trasmesso il documentario sulla loro ricerca dei resti del Caravaggio. Il professore Giorgio Gruppioni e il suo staff hanno portato il nome della sede di Ravenna dell’Università di Bologna all’attenzione non solo del mondo scientifico ma anche del grande pubblico, a livello nazionale e internazionale. I casi citati sono frutto di un lavoro continuativo in seno al Dipartimento di Beni Culturali iniziato dallo stesso Gruppioni – come ci racconta – in uno scantinato di Palazzo Corradini, con una sola studentessa, agli inizi degli anni Novanta, e che ha innalzato i laboratori di Ravenna a un livello di eccellenza tale da potersi confrontare e da poter collaborare con i più qualificati e prestigiosi centri di ricerca, in questo campo, in Italia e nel mondo.

Si tratta dei laboratori di Antropologia fisica – dove vengono analizzati in particolare i resti umani, anche attraverso tecnologie avanzate come quelle basate sui modelli digitali dei reperti – e quello appena inaugurato del Dna antico che – grazie anche ai contributi concessi dalle fondazioni della Cassa di Risparmio di Ravenna e del Monte di Bologna e Ravenna – può contare su strumentazioni tra le più avanzate nel campo delle ricerche sul Dna proveniente da reperti biologici antichi. Il laboratorio è stato anche oggetto di un importante intervento strutturale a cura dell’Area Edilizia e Logistica di Ateneo per renderlo rispondente ai più aggiornati requisiti operativi in questo campo di ricerca, volti in particolare a contenere i rischi di contaminazioni. A questo scopo vi sarà installato anche un sistema particolare di aerazione – ci spiega lo stesso professor Gruppioni durante una breve chiacchierata – che, assicurando una pressione positiva all’interno del laboratorio, consentirà di minimizzare la veicolazione di Dna esogeno attraverso l’aria. Per questo è anche necessario che chi vi opera all’interno, adotti particolari precauzioni e indossi un’apposita attrezzatura (tuta, mascherina, guanti…).

Laboratori di Antropologia Fisica a RavennaUna peculiarità che hanno i due laboratori di via degli Ariani, in centro a Ravenna, è quella di poter svolgere in piena sinergia e contiguità anche logistica, ricerche complementari sui medesimi reperti di studio, attraverso analisi antropologiche, biologiche e genetiche secondo un approccio per certi aspetti originale (solitamente, nella medesima struttura di ricerca, o si studiano i resti umani o il loro Dna,  più raramente entrambi) costituendo così un centro integrato di ricerca in cui lavorano fianco a fianco docenti, tesisti, dottorandi e studenti provenienti da tutta Italia e anche dall’estero, tanto che il professor Gruppioni è costretto a organizzare veri e propri turni durante l’anno accademico a causa dell’elevata richiesta.

«Gli studenti – racconta Gruppioni – sono spinti soprattutto dalla voglia di fare esperienze pratiche, qui possono infatti mettere le mani sui materiali (mentre parla ci mostra una laureanda che sta ricomponendo un teschio nel laboratorio di antropologia fisica, ndr), imparare ad applicare le tecniche analitiche e diagnostiche e ad utilizzare gli strumenti, a fare esperienze concrete di ricerca. Poi c’è indubbiamente anche quella sorta di fascino e di attrazione che nell’immaginario comune esercitano i materiali oggetto delle nostre ricerche, come ad esempio quell’alone di mistero che avvolge le mummie (il centro diretto da Gruppioni si è occupato recentemente di quelle di Roccapelago sull’alto Appennino modenese, risalenti al XVI-XVIII secolo, divenute celebri in tutto il mondo, ndr); l’emozione di scoprire aspetti ignoti, storie, vicende della vita, malattie, lesioni di individui vissuti nel passato a partire da piccole tracce: un lavoro che per molti aspetti è simile a quello dell’antropologia forense e delle indagini scientifiche condotte nella ricerca di persone scomparse o nell’ambito di fatti criminosi; o anche solo la passione per CSI (la celebre serie tv sulla polizia scientifica americana, ndr)…».

Laboratori di Antropologia Fisica a RavennaL’ottica in cui che si pone la ricerca svolta dallo staff di Gruppioni è essenzialmente di carattere storico cioè quella di contribuire a scoprire o chiarire fatti, eventi e vicende del passato («anche perché gli storici non sempre ci hanno tramandato la verità oggettiva dei fatti ma una loro personale visione degli stessi», sorride il professore). «In estrema sintesi – spiega – ci si propone di ricostruire le caratteristiche, la storia e la vita di individui e popolazioni di un passato più o meno remoto tramite lo studio di quanto più tangibile, che a volte è anche il solo che rimane, cioè i loro resti». A volte anche animali o vegetali, come nel caso del coinvolgimento nell’analisi della pergamena del rotolo della Torah – la Bibbia ebraica – riscoperta dal professor Mauro Perani e conservata alla Bub di Bologna.

 Ma la ricerca che viene svolta nei due laboratori di Ravenna non guarda solo al passato: «a partire dallo studio dei reperti – continua Gruppioni – ci si proietta anche verso possibili ricadute attuali e future, come ad esempio quella della valorizzazione e fruizione dei risultati attraverso la realizzazione di mostre e sistemi di comunicazione multimediali», senza contare le possibili implicazioni nel campo della ricerca medica, con già collaborazione avviate con Ausl e centri privati. «In questo momento per esempio – rivela Gruppioni – stiamo lavorando ad un progetto, già finanziato in parte dalla Fondazione del Monte, basato sullo studio di resti umani di individui morti nel corso delle storiche epidemie di peste, con cui vorremmo, tra l’altro, capire come mai la città di Forlì, come attestano le fonti storiche, sia stata risparmiata dalla famosa epidemia del 1630 che colpì invece pesantemente il resto dell’Emilia-Romagna. Il Dna infatti ci consente oggi, non soltanto di studiare l’uomo ma anche i patogeni che ne hanno afflitto la vita nel passato e come questi sono mutati nel tempo. Ciò può avere una evidente ricaduta anche sul presente dal momento che, sebbene rara nella società contemporanea, la peste è considerata una malattia riemergente, presente soprattutto a latitudini tropicali e subtropicali dove se ne registrano alcune migliaia di casi all’anno».

Grazie alla dotazione di attrezzature aggiornate e alla presenza di ricercatori altamente specializzati («purtroppo precari»), che si sono formati in questi anni, il laboratorio guarda anche, come possibile sviluppo futuro, al campo delle indagini forensi: con adeguato personale dedicato e strutturato e il necessario supporto economico potrebbe diventare dunque un ottimo strumento per risolvere altri misteri…

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